il manifesto 20.10.17
Guerra per banche, Renzi alza il tiro Gentiloni in trappola
L'imboscata.
Il leader Pd: «Cosa ho toccato? Non so se sono poteri forti, ma tra
stare con i cittadini o con i banchieri non ho dubbi». Il ruolo della
sottosegretaria nel giallo della mozione tenuta coperta quasi fino alla
fine. Palazzo Chigi sempre più in imbarazzo
di Andrea Colombo
Altro
che raffreddare i toni. Renzi rincara e se fino a ieri si accontentava
di apparire come nemico di un governatore di Bankitalia difeso da
palazzo Chigi, dal Colle e dall’Europa ma non dal Pd, ora sembra che
punti davvero alla testa di Ignazio Visco – trofeo da sventolare in
campagna elettorale – magari costringendolo a fare da solo un passo
indietro. Ospite di Lilli Gruber va giù come un caterpillar: «Se il
governo vuole cambiare il governatore lo farà. Ma si può dire che il
funzionamento della Banca non è stato un granché». Poi la mazzata: «Mi
sono chiesto il perché di questa levata di scudi a favore di Visco. Cosa
ho toccato? Non so se sono poteri forti, ma tra stare con i cittadini o
con i banchieri non ho dubbi».
IL NUOVO AFFONDO pone ancora di
più Paolo Gentiloni tra l’incudine e il martello. Da una parte c’è il
Quirinale che ufficialmente sta «a guardare» ma in realtà si è speso più
e più apertamene di quanto Mattarella abbia mai fatto. Dalla stessa
parte c’è anche l’Europa, anzi Mario Draghi in persona: da quelle parti
la sola idea che un governatore della Banca centrale possa essere
sfiduciato dal parlamento fa venire i brividi. Ma dall’altra parte non
c’è solo il principale partito che sostiene il governo, e già sarebbe un
bel guaio: c’è la grande maggioranza del parlamento. Ieri anche
Berlusconi ha tolto la relativa copertura che nei primi giorni della
crisi aveva offerto a Visco su spinta di Gianni Letta, che nel partito
azzurro è la voce dell’Europa. «Certamente la Banca non ha svolto il
controllo che ci si attendeva. Non sono del tutto senza senso le volontà
di un controllo», dichiara. Evidentemente il leader azzurro si è reso
conto di non poter passare per il difensore delle banche mentre Renzi,
Grillo e soprattutto l’alleato/competitor Salvini si spartivano il ruolo
di tutori dei risparmiatori contro gli interessi bancari. Dunque ha
mollato anche lui Visco, stando attento a non fare il gioco di Renzi:«E’
la solita voglia della sinistra di occupare tutte le posizioni di
potere, stavolta prima e non dopo le elezioni».
COME TIRARSI FUORI
dal guaio Paolo Gentiloni non lo ha ancora deciso. Ipotizza la nomina
di un membro del Direttorio, come segno di fiducia nella banca se non
nel suo governatore. Fa assicurare informalmente che il governo si
muoverà secondo le «prerogative attribuitegli dalla legge». Ma lui per
primo sa che quelle parole saranno credibili solo se confermerà Visco,
mettendosi contro il parlamento e soprattutto passando lui per difensore
a ogni costo di Bankitalia. Del resto è probabile che tra gli obiettivi
di Renzi ci fosse proprio quello di indebolire le posizioni dell’amico
che, dopo le elezioni, potrebbe rivelarsi un rivale sulla strada di
palazzo Chigi.
COME SE NON FOSSE già abbastanza, Gentiloni deve
anche far buon viso a pessimo gioco e fingere che nel suo governo vada
tutto bene, glissando sull’imboscata tesagli da Renzi e da Maria Elena
Boschi. Ieri le classiche “fonti” di palazzo Chigi hanno fatto sapere
che il premier nutre «piena fiducia» nella sua sottosegretaria. Sia pure
in modo goffo, il premier cerca così di negare l’evidenza, e cioè di
essersi trovato di fronte a un fatto compiuto con una mozione
notificatagli all’ultimo momento e senza che neppure la ministra dei
rapporti con il parlamento Anna Finocchiaro fosse al corrente di quanto
stava per avvenire: un agguato.
Ma le voci che arrivano dal nuovo
palazzo dei veleni parlano invece di una tensione da tagliarsi col
coltello e il pranzo di mercoledì scorso, con la sottosegretaria autrice
del blitz su Bankitalia e il ministro dell’Economia Padoan è stato tra i
più imbarazzanti nella storia della politica italiana.
MA,
APPUNTO, GENTILONI non può far altro che fingere di non aver notato lo
sgambetto della sottosegretaria e di non essersi accorto della
ginocchiata vibrata ieri da Renzi in persona: «Il governo non era
semplicemente informato della mozione. Doveva anche dare un parere che è
stato positivo. Dunque era d’accordo». Il parere positivo era stato
dato nella frenesia del momento, quando lo stesso governo ha capito di
essere esposto non al rischio ma alla certezza di un voto che lo avrebbe
visto battuto. Ma tant’è. Il premier non può smentire il segretario del
primo partito di maggioranza senza provocare una deflagrazione e il
parere positivo sulla mozione – una «mozione improvvida», la definisce
Romano Prodi – resta agli atti. «Dal punto di vista formale non abbiamo
intravisto una sfiducia», prova a sostenere il sottosegretario Baretta.
Ma sono parole che stridono come sul vetro le unghie di chi prova ad
arrampicarsi sugli specchi e l’incidente, invece di sgonfiarsi, diventa
ogni giorno di più un vicolo cieco.