Il Fatto 22.10.17
Etruria, con Visco un duello da 212 milioni
Risarcimento - Chiesto a papà Boschi e soci per non aver salvato la banca. Come? Dandola a Zonin
di Giorgio Meletti
Nel
corpo a corpo tra il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e
l’asse Renzi-Boschi c’è un elemento misterioso che fa riferimento
proprio alla storia di Etruria. Lo si può leggere in controluce
nell’atto di citazione del liquidatore Giuseppe Santoni contro 37 ex
amministratori della banca aretina. Non è un caso che le notizie
sull’azione di responsabilità, che coinvolge tra gli altri l’ex
vicepresidente di Etruria Pier Luigi Boschi, pubblicate dal Corriere
della Sera l’11 ottobre scorso, siano considerate il detonatore dello
scontro.
Bisogna ripartire dall’incontro del marzo 2014 a casa
Boschi, dove Maria Elena, ministra da pochi giorni, raccoglie il lamento
di suo padre, allora consigliere di Etruria, e dei vertici della banca
aretina e di Veneto Banca. Si dicono vessati dal capo della Vigilanza di
Bankitalia, l’onnipotente Carmelo Barbagallo. E i rapporti tra il
governo Renzi e Visco sono pessimi dall’inizio, quando Renzi gli chiede
di dimezzarsi lo stipendio.
In quelle settimane Bankitalia preme
sia su Etruria sia su Veneto Banca perché accettino di fondersi con la
Popolare di Vicenza di Gianni Zonin. Tre mesi dopo, la trattativa tra
Etruria e Vicenza si rompe. Zonin aveva offerto 1 euro per ogni azione
quotata di Etruria, per un totale di 212 milioni, programmando la
fusione entro un anno. Secondo l’avvocato Antonio Briguglio, che firma
l’atto di citazione, c’è da parte del presidente di Etruria Lorenzo Rosi
e degli altri consiglieri un “ingiustificato e misterioso abbandono
dell’unica plausibile alternativa al dissesto”. Per questo chiede i
danni, quantificati esattamente nei 212 milioni che Zonin offriva.
È
un curioso modo di ragionare. Se Etruria avesse accettato l’offerta, i
212 milioni sarebbero andati ai 70 mila soci e non alla banca. Ma
Briguglio considera i 212 milioni come valore della banca poi azzerato
il 22 novembre 2015, un anno e mezzo dopo, dalla decisione di governo a
Bankitalia di avviare per Etruria la risoluzione.
Il fatto è che
in quell’anno e mezzo il cda prima e i commissari dopo l’azzeramento del
cda stesso (febbraio 2015) hanno continuato a cercare soluzioni per
salvare la banca, per esempio andando a chiedere aiuto al numero uno di
Unicredit Federico Ghizzoni. Non si può fare la storia con i se e quindi
non è dimostrabile che, dicendo no a Zonin, papà Boschi e soci
avrebbero potuto anche trovare una soluzione migliore, magari con
l’aiuto dell’amico Flavio Carboni o di altre simili eccellenze della
finanza internazionale. In effetti non l’hanno trovata. Ma se avessero
detto di sì a Zonin, il capitale di Etruria si sarebbe azzerato con
quello di Vicenza nella primavera del 2016 e la banca di Arezzo avrebbe
fatto la stessa fine della popolare vicentina a giugno 2017.
Nell’azione
di responsabilità di Santoni e Briguglio i danni addebitati ai 37
amministratori di Etruria per finanziamenti irregolari, la tipica
fattispecie delle banche locali sfasciate da oligarchie
politico-affaristiche, sono inferiori ai 140 milioni. Tanti soldi, ma
nello stesso tempo un po’ poco come causa del default della banca.
Il
sospetto è che tra la Vigilanza di Bankitalia e Renzi-Boschi sia in
corso una gara a chi ha più torto e a chi, di conseguenza, mena più
forte. L’imbarazzo di Visco in questa storia è però più palpabile, anche
perché alle incongruenze dello statista di Rignano siamo abituati, a
quelle della Banca d’Italia un po’ meno. E per Visco ce n’è una grande
come una casa. Lui e Barbagallo si sono vantati, per dimostrare quanto
erano attenti alle spericolatezze vicentine, di aver “assunto
provvedimenti restrittivi, bloccando, tra l’altro, le iniziative di
espansione di Zonin”. Invece erano intenti a fare pressioni su Etruria
perché si lasciasse comprare proprio da Zonin. Non solo: a cose fatte
hanno sanzionato il cda di Etruria per aver rifiutato l’offerta di
Zonin, e adesso autorizzano una lunare richiesta di danni per la stessa
ragione: aver detto no a un’operazione che loro stessi si vantano di
aver meritoriamente bloccato. Renzi-Boschi a parte, il caso Etruria è
una seria minaccia per il dogma dell’infallibilità di Bankitalia.