Il Fatto 1.10.17
La favola di Davide e Golia che nasconde la bufala della libertà
L’invenzione della storia - Origini e scuse di un mito fondatore
di Daniela Ranieri
È
molto romantico pensare alla richiesta di indipendenza della Catalogna
dal governo di Madrid in termini di lotta di un piccolo e battagliero
popolo contro un impero centrale autoritario, figura che rimanda
all’iconografia di Davide contro Golia e ci fa sentire tutti lord Byron
in appoggio alla guerra d’indipendenza greca contro l’Impero ottomano.
Tuttavia, le cose non sono così semplici. Il referendum annunciato per
oggi è stato voluto e convocato dalla destra catalana e ha ottenuto la
maggioranza nel Parlamento catalano nonostante fosse apertamente
incostituzionale.
L’indipendentismo catalano si rifà a miti
fondativi del tutto anacronistici e francamente paranoici. Secondo i due
principali partiti indipendentisti, Junts pel Sí e Candidatura d’Unitat
popular, la guerra di successione spagnola del 1700 sarebbe stata anche
una guerra di secessione che si risolse nel 1714 in una repressione
d’imperio del popolo catalano. Per di più, la Costituzione del 1978
sarebbe ostile ai catalani, che però la votarono col 92% dei consensi.
L’accusa contro la Spagna di immiserire la regione è frutto di una
anamorfosi politicamente pilotata: la crisi del 2008, con
l’impoverimento del ceto medio che ha colpito tutta Europa, si è
trasformata agli occhi della destra indipendentista nella pistola
fumante dell’usurpazione secolare del governo spagnolo. Fu invece il
governo catalano, tra il 2010 e il 2015, a imporre ai ceti deboli il
costo della crisi: le risorse per il welfare (scuole, sanità, case
popolari) sono state drasticamente ridotte, disoccupazione e precarietà
sono aumentate, come l’esternalizzazione dei servizi statali al settore
privato; il salario medio è diminuito, con 20 super-ricchi nel 2016
detentori del 20% della ricchezza totale.
In questa temperie la
destra catalana ha avuto gioco facile a indicare al popolo il
responsabile: il governo Rajoy, il cui Partito Popolare nel 2010 votò
una riduzione della autonomia catalana. La soluzione era dunque la
secessione e l’avvio di un processo costituente. Accanto al mito
premoderno di uno Stato idilliaco, se ne è creato uno del tutto
illogico: fuori dalla Spagna la Catalogna sarà più ricca.
Il
governo spagnolo, come ha detto lo scrittore Javier Cercas al Fatto,
avrebbe potuto riconoscere queste spinte dando loro una forma legale, ad
esempio stabilendo che per la secessione fossero necessari i ¾ dei voti
e non la maggioranza semplice come previsto unilateralmente dal governo
catalano. Invece ha scelto di impiegare la Guardia Civil per
sequestrare le schede e rinforzare agli occhi del mondo l’immagine di un
Leviatano autoritario che impedisce al popolo l’esercizio della
democrazia.
Come spiega l’antropologo marxista David Harvey, il
nazionalismo – da ideale romantico – è oggi funzionale alla
sopravvivenza dello Stato neoliberista, che “ha bisogno della sua forza
di mobilitazione del consenso per creare le migliori condizioni per
attrarre investimenti e competere sul mercato”. In quest’ottica il
nazionalismo catalano è la reazione delle élite in una regione a forte
diseguaglianza sociale nei confronti di uno Stato, la Spagna,
altrettanto impoverito. Proprio come l’elezione di Trump, e in parte
come la Brexit, dove a essere indicati come usurpatori erano gli
immigrati e l’Europa, l’indipendentismo è l’esito inevitabile della
degradazione del popolo e dei suoi diritti a opera della finanza e della
politica a essa asservita, e perciò appartiene al sistema più di quanto
si vanti di opporsi a esso. Vista come pervertimento della lotta di
classe, l’indipendenza catalana ha ben poco di romantico.