giovedì 12 ottobre 2017

Il Fatto 12.10.17
“La Costituzione scritta nel ’78 è superata”
Franco Cardini - Lo storico ritiene che sia in atto un processo di cambiamento difficile da ignorare
di Andrea Valdambrini

La storia è un flusso in perenne mutamento e il caso Catalogna ne è un esempio. Fa emergere la crisi di un’Europa che ha tradito la promessa di riuscire a darsi una struttura politica. Questo il parere sulla crisi catalana di Franco Cardini. Storico del medioevo, studioso dell’epoca delle crociate, cattolico, Cardini è stato per molti anni professore di Storia medievale a Firenze, direttore di ricerca all’Ehess di Parigi e Fellow della Harvard University.
La partita fra Madrid e Barcellona è ancora aperta: cosa ci insegna la vicenda catalana?
I catalani hanno espresso un’esigenza, per quanto difficile da portare a compimento. Madrid ha risposto richiamandosi alla legalità e all’assetto della Costituzione del 1978, che è stata scritta – si deve ricordare – da un falangista come Adolfo Suarez (primo premier del dopo Franco, in carica dal 1976 all’81, ndr). Voglio dire: le costituzioni mica sono il Vangelo, si possono cambiare. Puigdemont ha fatto capire esattamente questo: l’ordine del Paese così come è stato stabilito nel ’78 è superato.
Lo Stato spagnolo così configurato non va più bene?
La Spagna, come tutti gli altri Stati nazione, rappresenta un prodotto storico: quante altre nazioni precedenti sono state eliminate nel processo di unificazione del regno di Madrid? E non è successo lo stesso anche per la Francia, che nel suo percorso ha raso al suolo le molte identità regionali? E così non è stato anche per l’Italia? Ecco perché penso che la risposta alla domanda indipendentista non possa essere quella della repressione: l’unica via per evitare la violenza è il dialogo. Anche perché, ignorando il problema, tra qualche anno l’indipendentismo catalano sarà diventato sempre più forte.
Lo Stato-nazione è entrato in crisi e il caso catalano ne è il detonatore?
Certo, dato che gli Stati non sono entità astratte, ma frutto di un processo di cambiamento continuo nel corso dei secoli. Per questo assistiamo oggi a una riaggregazione di comunità che erano state forzate in unità coniate dal potere e dalla forza. Non vedo nulla di sorprendente nel processo che abbiamo sotto gli occhi.
È l’Europa, nella sua dimensione sovranazionale, l’elemento che rende possibile una frammentazione?
A quale Europa ci riferiamo? Io sono cresciuto con l’idea di Europa messa in atto dai tre politici che l’hanno plasmata: Adenauer, Schuman e De Gasperi. Ci veniva detto: facciamo un’unione doganale, sul modello dello Zollverein della Prussia del XIX secolo. Il resto seguirà. Il problema è che dopo non si è visto nulla, se non la moneta unica e l’attenzione all’economia. Non si è vista e non si vede la dimensione politica dell’Europa. Mi sembra proprio che abbiamo il diritto di sentirci presi in giro.
Accanto a questo processo di disgregazione (o riaggregazione) in Europa emerge un altro processo. Mi riferisco a un ritorno identitario delle destre europee – da FN in Francia a AfD in Germania fino a Ukip in Gran Bretagna – pronte a innalzare la bandiera identitaria del cristianesimo contro la minaccia islamica. Che ne pensa?
Le destre non liberali, fin da quando sono nate, hanno sempre cercato di coagularsi intorno a un’idea forte. Prima quella dello Stato-nazione, appunto, che agli inizi del ventesimo secolo si contrapponeva ai principi di classe del marxismo. Poi Hitler negli anni 30 fa il giochetto di trovare un capro espiatorio di tutti i mali nell’ebraismo internazionale. Ecco, mutatis mutandis lo stesso giochetto che gli orfanelli dell’antisemitismo fanno oggi.