giovedì 12 ottobre 2017

Il Fatto 12.10.17
Affinità e divergenze tra i compagni Achille e Giorgio
di Marco Palombi

Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci e primo del Pds, sfortunato ideatore dell’espressione “gioiosa macchina da guerra” riferita alla coalizione con cui riuscì a perdere le elezioni nel 1994, iconizzato in una gran battuta (“lei non sa chi sarei stato io”) degna di Marcello Marchesi, è tornato prepotentemente nel dibattito pubblico: agenzie, giornali, persino tv (ancorché al mattino). C’è qualche analogia, va detto, tra il ritorno sulla scena del compagno Akel e il ritrovato attivismo di Giorgio Napolitano, anche se la prospettiva politica è, per così dire, opposta: se il denso pensiero del presidente emerito si muove attorno a una priorità che riassumeremmo nelle parole “fottere Renzi”, Occhetto non ha abbandonato la stella polare ideologica che lo guida da più di vent’anni, cioè “fottere D’Alema”. I due ex virgulti di Botteghe Oscure, a pensarci bene, sono ormai come una foto e il suo negativo: se da un lato Napolitano userebbe persino l’odioso D’Alema pur di eliminare, metaforicamente, quel maledetto democristiano toscano che gli ha ammazzato le riforme costituzionali (il suo lascito al Paese, secondo l’interessato); quell’altro – che si oppose alla nascita del Pd e predica ancora una “costituente della sinistra” – si prenderebbe in casa pure quel destrorso di Renzi pur di uccidere, metaforicamente, quello spocchioso coi baffetti che lo cacciò in malo modo dalla segreteria del Pds. Questo per dire: non è bello quando finalmente si può tornare a parlare di cose che interessano tutti?