Corriere 5.10.17
Gli attacchi all’esecutivo dividono l’opposizione
di Massimo Franco
Il
primo sì è arrivato, previsto e scontato. I prossimi voti al Senato
sulla manovra finanziaria potrebbero provocare qualche incertezza in
più, ma è difficile pensare a una caduta del governo: nonostante gli
avvertimenti delle componenti estremiste della sinistra. La
responsabilità di «non dilapidare i risultati raggiunti», richiamata
ieri dal premier Paolo Gentiloni, va al di là dello scontro aspro tra Pd
e Mdp; e oltre le tensioni tra quest’ultimo e il suo aspirante leader,
Giuliano Pisapia. Per paradosso, l’atteggiamento dialogante di Palazzo
Chigi sta dividendo le opposizioni.
Il coordinatore di Mdp,
Roberto Speranza, ieri ha anche implicitamente ammesso il suo scarso
potere di interdizione, per gli «aiutini» parlamentari che arrivano a
Gentiloni quando rischia: dettaglio sottolineato con soddisfazione dal
segretario dem, Matteo Renzi. Ma l’aspetto più imbarazzante è la
spaccatura di fatto tra Pisapia e l’Mdp di Pier Luigi Bersani e di
Massimo D’Alema. L’ex sindaco di Milano non riesce a far decollare il
suo ruolo di federatore non solo per il carattere ritenuto poco pugnace:
non marcia il progetto.
Il disappunto verso D’Alema nasce dalla
sensazione che sia l’ostacolo più coriaceo da superare; che controlli la
maggioranza di Mdp, e imponga il conflitto totale col Pd renziano. C’è
da chiedersi, tuttavia, se il bersaglio non nasconda il tentativo di
trovare un alibi di fronte a un ricompattamento nato con ambizioni già
ridimensionate. L’impressione, ormai, è che l’operazione Pisapia sia
destinata a dirigersi su un binario morto; e che alla fine gli alleati
guardino altrove per avere un leader.
Ogni parola dell’ex sindaco
di Milano a favore del governo viene percepita come un cedimento al Pd,
raffigurato invece da Mdp come espressione di una «maggioranza fantasma
con Denis Verdini». Il senatore Miguel Gotor arriva a dire che sarebbe
il prodotto di un «mediocre patto di potere toscano» con i vertici dem,
«che non ha riguardato la politica, ma si è consumato all’ombra della
vicenda Consip». L’insinuazione evoca il sospetto di un’alleanza tra Pd e
Forza Italia dopo il voto nel 2018. Il paradosso è che Mdp si è scisso
dal Pd per difendere Gentiloni da Renzi.
Se a questo si aggiungono
i timori di un patto sulla riforma elettorale con Lega e FI, lo scontro
è totale. Sono girate anche voci di un ricorso alla fiducia per
approvare la legge. «Non ne so nulla, e se non lo so io...», ha risposto
la ministra per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro. E il Pd
comincia a avere fretta di andare a votare quanto prima. Con un
approccio del genere, non esiste dialogo. La contraddizione, però,
finisce per scaricarsi in primo luogo su Mdp. Ma non solo: trasmette
un’immagine delle sinistre percorse tuttora da istinti suicidi.