Corriere 19.10.17
Evitare il logoramento di Gentiloni, la preoccupazione di Mattarella
di Marzio Breda
Lo scudo del Colle per proteggere anche Palazzo Chigi dopo la tempesta su Visco
Più
che complicata, incartata. Ecco come si profila, dal punto di vista di
Sergio Mattarella, la successione al vertice di Bankitalia dopo
l’attacco del Pd a Ignazio Visco. La mossa da campagna elettorale
pianificata da Matteo Renzi («lo confermino pure, ma non in mio nome»),
oltre a provocare uno strappo senza precedenti con il capo dello Stato,
ha reso strettissima e molto scivolosa la strada per scegliere la nuova
guida di Palazzo Koch ai soggetti cui è istituzionalmente delegata
questa scelta. Cioè il governo e, appunto, il Quirinale, previo un
parere del consiglio superiore della banca.
Uno stallo che,
comunque lo si consideri, rende impervia qualsiasi via d’uscita.
Infatti, se si esclude una rinuncia di Visco, che pareva quasi probabile
prima della mozione dei democratici ma che oggi equivarrebbe di fatto a
una sua ammissione di colpa, la formula per sintetizzare gli umori che
circolano nei dintorni del Colle, si riassume in un gioco di negazioni,
dirette o sottintese. Queste: non si può non nominarlo, a maggior
ragione dopo quel che è successo; tuttavia riconfermarlo potrebbe
spalancare le porte a un non augurabile inferno...
Un grosso
guaio. Destinato a pesare in particolare sulle spalle del presidente del
Consiglio, al quale, secondo la procedura standard, compete l’onere di
avanzare la proposta. Ed è ovvio che la partita, comunque venga chiusa,
possa alla fine tradursi in un altro logoramento di Paolo Gentiloni, già
trascinato pochi giorni fa dal suo Pd a condividere l’accelerazione
parlamentare sulla legge elettorale con l’assai contestato voto di
fiducia alla Camera. Non a caso, al di là di certi regolamenti di conti
interni al Pd e dei calcoli per scaricare sull’istituto di via Nazionale
(«per omessa vigilanza») una buona quota di responsabilità del crac di
Banca Etruria, circola il sospetto che alcuni strateghi renziani non
disdegnino un effetto collaterale: minare, inventando una trappola dopo
l’altra, piccola o grande che sia, un po’ della credibilità e del
prestigio conquistati dal premier negli ultimi mesi. Insomma: eroderne
pezzo dopo pezzo la forza tranquilla e indebolirlo. Tutto questo in
proiezione futura, quando il suo nome potrebbe magari risultare
spendibile, nell’ipotesi che la prossima legislatura si riveli a rischio
ingovernabilità.
Gelosie infantili da competitori insicuri?
Chissà. Di sicuro c’è che questa osservazione è ormai talmente diffusa
nei palazzi della politica da rendere impensabile che lo stesso
Mattarella non cominci a porsi il problema. E infatti, secondo alcuni
intimi del Quirinale, pare se lo stia ponendo. Sia per un personale
apprezzamento verso Gentiloni e il suo modo di stare sulla scena (con
uno stile pacato, antiansiogeno e naturalmente istituzionale), sia per
il rispetto che si è conquistato nei mesi scorsi in Europa e per i
risultati che l’esecutivo ha portato a casa pur tra mille difficoltà.
Ciò
spiega perché il presidente della Repubblica abbia alzato tante volte
il proprio scudo per blindare Palazzo Chigi. E spiega anche
l’irritazione profonda affiorata nel comunicato dell’altro ieri, quando
il Colle si è trovato spiazzato dalla mossa di Renzi, offeso e umiliato
nelle proprie prerogative. Se c’è una cosa cui Mattarella tiene è il
rispetto delle regole e delle competenze. Ne parla spesso in chiave per
spiegare come interpreta il ruolo. E le ha evocate in quella nota dove,
richiamando l’autonomia e l’indipendenza di Bankitalia, alludeva a un
assetto che risale addirittura ai tempi di Giolitti. Una tradizione che
diverse volte qualcuno ha cercato di aggirare, nella nostra storia,
politicizzando la carica del governatore. Senza però mai riuscirci per
fortuna.