Corriere 14.10.17
Il paradosso di un partito in conflitto con i padri nobili
di Massimo Franco
Forse
dipende soprattutto dalla riforma elettorale e dalla scissione: sebbene
si abbia l’impressione di una rottura più di fondo. È un fatto che la
festa del decennale del Pd oggi avviene nell’assenza o nel silenzio
ostile dei suoi «padri nobili». Si tratta della certificazione di una
forza che ha deciso di emanciparsi dai suoi personaggi-simbolo; e che è
coprotagonista di quella scomposizione a sinistra vissuta in gran parte
dei Paesi europei. Colpisce che sia il fondatore dell’Ulivo, Romano
Prodi, sia l’ideologo di quella operazione, Arturo Parisi, oggi non ci
saranno.
Né ci sarà l’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che
si prepara a parlare in Senato contro la legge voluta dal Pd, e
appoggiata dal Quirinale. Se si aggiungono le autoesclusioni traumatiche
di Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, registi della scissione dai
dem, risalta l’immagine di un partito di «parricidi»: una realtà che la
presenza di Walter Veltroni non basta a bilanciare. E, probabilmente uno
degli effetti secondari dello scontro sul nuovo sistema di voto finirà
per sovresporre presto la seconda carica dello Stato, Pietro Grasso.
La
richiesta di fiducia sulla riforma a Palazzo Madama farà apparire in
bilico anche la terzietà del presidente del Senato: come la fiducia alla
Camera ha schiacciato sul Pd il premier Paolo Gentiloni. Il mancato
invito a Prodi e allo stesso Parisi è probabilmente frutto solo di
«sciatteria», sottolinea piccato l’ex ministro: al punto da definire
l’appuntamento odierno «invece di un giorno di festa, un giorno di
lutto»; e con un giudizio durissimo sul cosiddetto Rosatellum, «grave
nel merito e nel metodo», secondo Parisi.
Sono le parole deluse di
un ostinato difensore del maggioritario. Di fronte a una legge che apre
la strada a un ritorno al proporzionale e a governi assimilabili
all’unità nazionale, si percepisce la fine di un’epoca. Ma c’è,
altrettanto trasparente, il timore di una reale ingovernabilità. La
convinzione di alcuni dei «padri nobili» è che la forzatura delle ultime
ore in Parlamento sia stata probabilmente una scelta inevitabile; e
tuttavia foriera di altri strappi, e riflesso di una crisi dei partiti
tradizionali in tutta Europa.
Il ridimensionamento secco dei
socialdemocratici alle ultime elezioni in Germania, e l’affanno perfino
della cancelliera Angela Merkel e della sua Cdu, sono segnali d’allarme:
come lo era stato la vittoria del movimento trasversale di Emmanuel
Macron in Francia, nonostante l’argine decisivo contro l’ultradestra. La
sinistra ne è uscita umiliata. Prodi, d’altronde, ha notato di recente
che approvare una riforma in extremis, percepita come un’alleanza di
«tutti contro i Cinque Stelle», sarebbe stato un regalo al M5S. Dalle
reazioni feroci e grevi di Beppe Grillo, si intuisce una gran voglia di
«venderla» così. Le elezioni diranno chi ha sbagliato i calcoli.