Corriere 12.10.17
Perché la Russia rende onore a Mr Kalashnikov e alla spia Philby
di Sergio Romano
Quando
Vladimir Putin incontrò Henry Kissinger a Pietroburgo nella prima metà
degli anni Novanta, gli confessò di essere stato, in epoca sovietica, un
agente segreto. Sembra che Kissinger, con un sorriso malizioso, abbia
detto: «Tutte le persone per bene hanno cominciato nei servizi segreti.
Anch’io». Ma il caso di Kim Philby, recentemente onorato a Mosca con una
esposizione in cui appaiono parecchi documenti sottratti ai servizi
britannici, è alquanto diverso.
Philby divenne comunista nel 1936,
mentre studiava a Cambridge, e fu da allora, per quasi trent’anni, una
«talpa» sovietica nelle file del MI5 (la quinta sezione
dell’Intelligence militare britannico). Non fu il solo studente di
Cambridge folgorato dal credo marxista. Apparteneva a un gruppo di 5
(gli altri erano MacLean, Burgess, Blunt e Cairncross) e fu quello che,
tra l’altro, rivelò ai sovietici una operazione occidentale per la
formazione in Grecia di militanti albanesi che avrebbero cercato di
rovesciare il regime comunista. Quando attraversarono la frontiera, gli
albanesi (circa 300) furono catturati e passati per le armi. Se questo
massacro gli fosse stato rinfacciato, Philby avrebbe risposto che stava
combattendo nel campo nemico per vincere la grande battaglia del
comunismo contro il fascismo. Quando fu scoperto e riuscì a raggiungere
Mosca nel 1963, fu trattato dapprima con una certa sospettosa
diffidenza, ma divenne poi un «eroe della grande patria russa» e un
«generoso combattente della Guerra fredda». Ha avuto, insieme ad altre
decorazioni, l’ordine di Lenin, un solenne funerale, una targa nella
Lubjanka (la sede moscovita dei servizi), il ritratto in una galleria
d’arte statale e, oggi, una mostra in suo onore. Grandi omaggi vengono
tributati in questi giorni anche a un altro personaggio dell’epoca
sovietica. È Michail Kalašnikov, ideatore di un fucile che è
rappresentato con il suo creatore in un monumento di sette metri e mezzo
inaugurato a Mosca nello scorso settembre. Se gli inventori venissero
giudicati per l’uso che viene fatto delle loro invenzioni, qualcuno
potrebbe ricordare al sindaco di Mosca che il «kalashnikov», negli
ultimi decenni, è stato l’arma preferita di jihadisti e terroristi dei
più vari colori. Per i russi, tuttavia, anche se adottato dopo la fine
della Seconda guerra mondiale, è diventato a posteriori il simbolo
dell’eroismo dell’Armata Rossa nelle battaglie di Stalingrado e Kursk,
in quelle della Prussia Orientale e della conquista di Berlino. Philby e
Kalašnikov servono a uno stesso scopo: dimostrano che nel passato della
Russia non vi sono soltanto la Rivoluzione d’Ottobre (un evento per cui
Putin non sembra provare alcuna simpatia), Stalin, la carestia ucraina,
le grandi purghe, i trasferimenti forzati di intere popolazioni. Nel
passato russo vi sono anche la lotta contro il fascismo e la Grande
guerra patriottica contro Hitler.
In tutto questo vi è
naturalmente un po’ di retorica, ma nessuno Stato può sopravvivere senza
trarre dal proprio passato qualche motivo di orgoglio.