giovedì 28 settembre 2017

Repubblica 28.9.17
Corbyn e la sfida di un centro che si sposta verso sinistra
di Enrico Franceschini

BRIGHTON LE ELEZIONI si vincono stando al centro, predicava un tempo Tony Blair e dopo di lui lo hanno ripetuto tanti leader. «Ma il centro non è un punto immobile, si sposta con i bisogni e le aspettative della gente», afferma Jeremy Corbyn. «Non è più dov’era 20-30 anni or sono. Dopo il crollo finanziario del 2008 e un decennio di austerità, il centro siamo noi». Cioè il suo Labour, passato dal riformismo blairiano a un «socialismo progressista del ventunesimo secolo», con cui aspira a rimpiazzare «il fallimentare dogma neoliberista della Thatcher».
È il messaggio più importante che il leader laburista lancia nel suo discorso al congresso annuale del partito a Brighton. A lungo percepito come troppo radicale per poter governare la Gran Bretagna, Corbyn sostiene che il Labour, in un mondo di crescente diseguaglianza, è diventato il “mainstream”, la corrente principale, dunque in grado di vincere. Non a caso l’Economist di questa settimana gli dedica la copertina, predicendo che potrebbe diventare primo ministro, se la fragile coalizione messa insieme dai conservatori di Theresa May, indebolita anche dalle faide intestine sulla Brexit, non durerà a lungo.
Proprio sulla Brexit, Corbyn dice un’altra cosa degna di nota: «Siamo l’unico partito in grado di unire chi ha votato per uscire dalla Ue e chi ha votato per restarci». La sua linea accusata finora di ambiguità, accettare il risultato del referendum ma negoziare con l’Europa un rapporto più stretto di quello che vuole il governo May, potrebbe effettivamente mettere d’accordo gli uni e gli altri, specie se l’economia nazionale, come sta accadendo, continuerà a rallentare. Il 67enne leader laburista fa tante altre promesse: investimenti pubblici, aumenti salariali, nazionalizzazioni, il tutto da finanziare facendo pagare «un po’ più tasse a ricchi e corporation »; e una politica estera basata su «pace e diritti umani», per dire all’America, in virtù della loro «relazione speciale», che la via imboccata da Trump «è sbagliata».
Nella sala del congresso, il clima è di festa: battimani, cori, perfino auguri di compleanno a una deputata. Ma il festeggiato è lui, a cui come minimo va il merito di avere fatto crescere voti e seggi alle elezioni di giugno, suscitando l’entusiasmo dei militanti. Si vedrà se diventerà davvero premier, ma di sicuro il suo Labour è oggi effervescente e in ascesa, ciò che non si può dire dei partiti di sinistra nel resto d’Europa, come confermano le recenti votazioni in Germania e in Francia. Alla fine tutti i delegati cantano con lui a pugno chiuso “Red Flag”, Bandiera Rossa, vecchio inno laburista: buono per sognare un futuro migliore con il «socialismo del ventunesimo secolo».