Repubblica 24.10.17
Metti Parmenide alle elementari
“Se l’anima dopo la morte va in un altro corpo, quanto dura il passaggio?”
Parlare di filosofia ai bambini è possibile. Difficile è rispondere
di Nicola Zippel
“Ma
Parmenide si divertiva a infiammare la testa delle persone?”. La
domanda di Antonio, nove anni, arriva, diretta, schietta, essenziale. E
la risposta dev’essere altrettanto diretta, schietta, essenziale:
“Voleva far riflettere le persone, e questo probabilmente lo divertiva
pure”. Se c’è una cosa, tra le tante, tantissime, che ho imparato
insegnando filosofia ai bambini è quella di evitare i giri di parole o
le risposte evasive. Questo è uno dei tanti punti di incontro tra la
filosofia e i bambini che sono emersi dalla mia esperienza, ormai più
che decennale, di didattica filosofica nella scuola elementare. Né la
filosofia né i bambini amano perdersi in formalismi, perché il tempo è
prezioso quando si sta cercando di capire il senso delle cose.
Quando
entro in una classe per la prima volta, so bene che ho i minuti
contati, perché l’attenzione di un bambino è totale per ciò che è
sconosciuto, quanto impietosa per ciò che è noioso o poco interessante.
Se in quei primi minuti riesco a presentare la filosofia per quello che
già è, ossia per nulla noiosa e molto interessante, allora
quell’attenzione si trasforma in curiosità e possiamo iniziare, insieme,
il viaggio nella conoscenza. Per suscitare interesse non si può che
cominciare con delle domande: “Sapete che cos’è la filosofia?”, “L’avete
mai sentita nominare, prima d’ora?”, “Secondo voi, con quale delle
materie che fate a scuola ha a che fare la filosofia?”. “Io ho sentito
una volta mamma che diceva la parola filosofia”, “mio fratello studia
filosofia al liceo”, “io una volta ho sentito in televisione che
parlavano della filosofia”; “per me la filosofia ha a che fare con
matematica”, “per me con storia”, “per me con storia e scienze”. Anche
solo parlarne in modo generico e irriflesso permette ai bambini di
entare in rapporto con la filosofia. I bambini dicono subito quello che
pensano, dicono molte cose, ma non dicono mai tutto; anche loro, pur
essendo così ricchi di immaginazione, lasciano sempre qualcosa in ombra,
di impensato. “E la filosofia non può avere a che fare anche con la
ginnastica?”, “...sì, forse sì”; “ e con il tempo libero?”, “... nooo”;
“... e con la mensa?”, “...ma nooo!”. Ecco che si è aperto uno spiraglio
di riflessione a cui molti di loro, se non tutti, non avevano ancora
pensato: “E invece sì, la filosofia ha a che fare anche con il tempo
libero e la mensa, così come ha a che fare con tanti altri momenti della
vostra giornata fuori da scuola”. Se sei riuscito a sorprenderli una
volta, susciti ammirazione, rispetto e, cosa ancora più importante,
fiducia. Quando capiscono che la filosofia non solo è un oggetto
misterioso, ma anche imprevedibile — esattamente come ognuno di loro — ,
allora i bambini vogliono conoscerla per davvero.
Quindi arriva
il loro turno di fare le domande. Domande insidiose, profonde,
filosofiche. Alice Amina, nove anni, a cui ho spiegato che per
Anassimandro la terra sta sospesa al centro dell’universo, così da poter
reggersi da sola: “ Se tanto l’universo ha la forma di un cerchio, non
ha comunque una parte sotto dove la terra potrebbe poggiare?”; Luca,
otto anni, ascoltando il mito platonico della caverna: “Se i prigionieri
nella caverna non hanno mai visto le cose vere, come fanno a dire che
un’ombra indica una nave e un’altra un leone?”; Lucia, dieci anni,
mentre parliamo della metempsicosi: “Se Pitagora pensa che l’anima dopo
la morte passa a un altro corpo, quanto dura il passaggio? Magari tre
secondi? E dove sta, l’anima, durante il passaggio?”. Domande dettate da
una logica coerente quanto spontanea, che solo un bambino può avere.
Domande ultime, perché vanno al cuore del problema e risvegliano i
concetti filosofici fondamentali. Ad Alice Amina rispondo che
Anassimandro voleva immaginare comunque un modo per cui la terra poteva
restare sospesa da sola, senza qualcosa sotto che la tenesse in piedi; a
Luca rispondo che, in qualche modo, quei prigionieri avevano già quelle
conoscenze dentro di sé; a Lucia rispondo che non lo so quanto dura il
passaggio da un corpo all’altro, né dove se ne sta l’anima durante il
passaggio, e che magari Pitagora lo sapeva, ma non ce l’ha mai detto.
Risposta, quest’ultima, che suscita un po’ di delusione in Lucia, che
credeva che i filosofi avessero tutte le risposte; ma, insieme, le dà
forse anche una sensazione di piacere, perché sente che ha posto un
problema a cui nessuno prima aveva pensato.
Spesso si afferma che
la filosofia serve ai bambini per aiutarli a sviluppare un pensiero
critico. Sono d’accordo, ma fino a un certo punto, non fosse altro
perché i bambini ne hanno già tanto di pensiero critico, a volte troppo.
Credo che la filosofia serva ai bambini per imparare a gestire questo
innato e prezioso pensiero critico, a organizzarlo, articolarlo in modo
più ordinato e consapevole.
Proprio come i primi greci, i bambini
spesso sono già filosofi senza saperlo; conoscere la filosofia, allora,
può aiutarli a conoscere meglio sé stessi e a rivolgere la loro
curiosità verso di sé, come Michele, nove anni: “ Perché faccio tante
domande?”. ?