domenica 24 settembre 2017

Repubblica 24.10.17
Metti Parmenide alle elementari
“Se l’anima dopo la morte va in un altro corpo, quanto dura il passaggio?”
Parlare di filosofia ai bambini è possibile. Difficile è rispondere
di Nicola Zippel

“Ma Parmenide si divertiva a infiammare la testa delle persone?”. La domanda di Antonio, nove anni, arriva, diretta, schietta, essenziale. E la risposta dev’essere altrettanto diretta, schietta, essenziale: “Voleva far riflettere le persone, e questo probabilmente lo divertiva pure”. Se c’è una cosa, tra le tante, tantissime, che ho imparato insegnando filosofia ai bambini è quella di evitare i giri di parole o le risposte evasive. Questo è uno dei tanti punti di incontro tra la filosofia e i bambini che sono emersi dalla mia esperienza, ormai più che decennale, di didattica filosofica nella scuola elementare. Né la filosofia né i bambini amano perdersi in formalismi, perché il tempo è prezioso quando si sta cercando di capire il senso delle cose.
Quando entro in una classe per la prima volta, so bene che ho i minuti contati, perché l’attenzione di un bambino è totale per ciò che è sconosciuto, quanto impietosa per ciò che è noioso o poco interessante. Se in quei primi minuti riesco a presentare la filosofia per quello che già è, ossia per nulla noiosa e molto interessante, allora quell’attenzione si trasforma in curiosità e possiamo iniziare, insieme, il viaggio nella conoscenza. Per suscitare interesse non si può che cominciare con delle domande: “Sapete che cos’è la filosofia?”, “L’avete mai sentita nominare, prima d’ora?”, “Secondo voi, con quale delle materie che fate a scuola ha a che fare la filosofia?”. “Io ho sentito una volta mamma che diceva la parola filosofia”, “mio fratello studia filosofia al liceo”, “io una volta ho sentito in televisione che parlavano della filosofia”; “per me la filosofia ha a che fare con matematica”, “per me con storia”, “per me con storia e scienze”. Anche solo parlarne in modo generico e irriflesso permette ai bambini di entare in rapporto con la filosofia. I bambini dicono subito quello che pensano, dicono molte cose, ma non dicono mai tutto; anche loro, pur essendo così ricchi di immaginazione, lasciano sempre qualcosa in ombra, di impensato. “E la filosofia non può avere a che fare anche con la ginnastica?”, “...sì, forse sì”; “ e con il tempo libero?”, “... nooo”; “... e con la mensa?”, “...ma nooo!”. Ecco che si è aperto uno spiraglio di riflessione a cui molti di loro, se non tutti, non avevano ancora pensato: “E invece sì, la filosofia ha a che fare anche con il tempo libero e la mensa, così come ha a che fare con tanti altri momenti della vostra giornata fuori da scuola”. Se sei riuscito a sorprenderli una volta, susciti ammirazione, rispetto e, cosa ancora più importante, fiducia. Quando capiscono che la filosofia non solo è un oggetto misterioso, ma anche imprevedibile — esattamente come ognuno di loro — , allora i bambini vogliono conoscerla per davvero.
Quindi arriva il loro turno di fare le domande. Domande insidiose, profonde, filosofiche. Alice Amina, nove anni, a cui ho spiegato che per Anassimandro la terra sta sospesa al centro dell’universo, così da poter reggersi da sola: “ Se tanto l’universo ha la forma di un cerchio, non ha comunque una parte sotto dove la terra potrebbe poggiare?”; Luca, otto anni, ascoltando il mito platonico della caverna: “Se i prigionieri nella caverna non hanno mai visto le cose vere, come fanno a dire che un’ombra indica una nave e un’altra un leone?”; Lucia, dieci anni, mentre parliamo della metempsicosi: “Se Pitagora pensa che l’anima dopo la morte passa a un altro corpo, quanto dura il passaggio? Magari tre secondi? E dove sta, l’anima, durante il passaggio?”. Domande dettate da una logica coerente quanto spontanea, che solo un bambino può avere. Domande ultime, perché vanno al cuore del problema e risvegliano i concetti filosofici fondamentali. Ad Alice Amina rispondo che Anassimandro voleva immaginare comunque un modo per cui la terra poteva restare sospesa da sola, senza qualcosa sotto che la tenesse in piedi; a Luca rispondo che, in qualche modo, quei prigionieri avevano già quelle conoscenze dentro di sé; a Lucia rispondo che non lo so quanto dura il passaggio da un corpo all’altro, né dove se ne sta l’anima durante il passaggio, e che magari Pitagora lo sapeva, ma non ce l’ha mai detto. Risposta, quest’ultima, che suscita un po’ di delusione in Lucia, che credeva che i filosofi avessero tutte le risposte; ma, insieme, le dà forse anche una sensazione di piacere, perché sente che ha posto un problema a cui nessuno prima aveva pensato.
Spesso si afferma che la filosofia serve ai bambini per aiutarli a sviluppare un pensiero critico. Sono d’accordo, ma fino a un certo punto, non fosse altro perché i bambini ne hanno già tanto di pensiero critico, a volte troppo. Credo che la filosofia serva ai bambini per imparare a gestire questo innato e prezioso pensiero critico, a organizzarlo, articolarlo in modo più ordinato e consapevole.
Proprio come i primi greci, i bambini spesso sono già filosofi senza saperlo; conoscere la filosofia, allora, può aiutarli a conoscere meglio sé stessi e a rivolgere la loro curiosità verso di sé, come Michele, nove anni: “ Perché faccio tante domande?”. ?