Repubblica 20.9.17
La grande abbuffata di Statali
di Sabino Cassese
Annuncio
preoccupante e pericoloso, quello del sottosegretario per la Funzione
pubblica, che ha lanciato un «grande progetto per il Paese», consistente
in mezzo milione (ma potrebbero salire a 600 mila) di posti di lavoro
nei prossimi quattro anni nelle pubbliche amministrazioni.
L’annuncio
è stato seguito da un coro di consensi sindacali e ha il sapore di una
promessa pre-elettorale, non fatta, però, dal presidente del Consiglio
dei ministri, come dovrebbe essere, data la sua entità. Chi ha fatto
l’annuncio non è consapevole del danno che un tale subitaneo
allargamento dei ranghi pubblici potrebbe fare alla pubblica
amministrazione stessa. Dopo il «digiuno» di questi anni di crisi, con
il forte rallentamento del «turnover», fare una tale «abbuffata»
provocherebbe sconvolgimenti: si pensi solo ai «maxiconcorsi», alle
difficoltà che si incontrerebbero nella formazione «on the job», alla
difficile sistemazione negli uffici del Nord e del Sud di circa 80 mila
persone nel solo prossimo anno. La vicenda della scuola, ancora in
corso, evidentemente, non ha insegnato nulla. L’annuncio, peraltro, è
stato accompagnato anche da un’altra promessa, quella di far entrare nei
ranghi pubblici precari e idonei. Per i primi, si tratterebbe di una
ulteriore porta aperta, perché a 50 mila di questi è già stata promessa
con legge una sistemazione. Per i secondi, di una elargizione
immeritata, perché da tempo si usa concludere i concorsi con lunghe
liste di idonei.
Queste liste vengono conservate per tempo talora
immemorabile e da esse si attinge anche dopo anni, così premiando chi
dal concorso era stato scartato. La sistemazione dei precari e
l’assunzione degli idonei, oltre a violare la Costituzione, sono una
palese ingiustizia a danno dei più giovani, quelli che non sono riusciti
a infilarsi in un lavoro a tempo o in una lista di idonei.
Il
«grande progetto per il Paese» annunciato dalla funzione pubblica va ad
aggiungersi alle sistemazioni in ruolo nella scuola e all’allargamento
degli ingressi disposto già dalla «manovrina» da poco approvata.
Quest’ultima, ha triplicato i posti per i quali si può provvedere ai
rimpiazzi. Prima, se uscivano quattro dipendenti, se ne poteva assumere
uno, ora per ogni quattro che escono, se ne possono assumere tre (e
dall’anno prossimo quattro).
Tutto questo accavallarsi di norme e
annunci produce una miscela pericolosa anche per la finanza pubblica. È
vero, infatti, che i nuovi entranti costerebbero meno di quelli che
escono, perché hanno minore anzianità. Ma è vero anche che sta per
concludersi una tornata contrattuale, che dovrebbe da sola costare
intorno a tre miliardi. I nuovi trattamenti non dovrebbero essere dati
anche ai nuovi entranti?
Dalla funzione pubblica si è cercato di
spiegare che i rimpiazzi promessi con la grande «abbuffata» non
sarebbero meccanici, ma sarebbero fatti sulla base delle nuove norme che
prevedono l’esame dei fabbisogni, in modo da evitare l’«over-staffing»
attuale di molti uffici pubblici. Quindi, se dieci escono da una
prefettura, si valuterà se proprio lì c’è bisogno di personale e non
invece al catasto. Buoni propositi. Ma il dipartimento per la funzione
pubblica si è attrezzato per fare questa non semplice analisi? Possiede i
dati per farla? Ha dialogato con le migliaia di uffici per accertare
quali sono i carichi di lavoro, ufficio per ufficio? Se l’ha fatto,
perché non rende pubblici questi dati?
C’è, poi, l’argomento, più
volte ripetuto, delle minori dimensioni della nostra pubblica
amministrazione, rapportata alla popolazione, rispetto a quella di altri
Paesi europei. Ma questo non dipende da un difetto di calcolo del
numero degli addetti alle amministrazioni pubbliche? La Ragioneria
generale dello Stato e l’Istat valutano i dipendenti pubblici, ma vi
sono anche altri addetti , quali, ad esempio , i dipendenti delle
autorità indipendenti, le varie specie di precari e i lavoratori delle
circa 8 mila società pubbliche, che non vengono messi nel calcolo.
Infine,
anche se i proponenti di questa trovata lo escludono, si è subito
riaffacciata l’idea di riabbassare l’età della pensione per i dipendenti
pubblici, per far balenare speranze aggiuntive, mettendo insieme due
spinte: le attese di chi vuole entrare e le speranze di chi vuole
uscire.
In conclusione, un governo serio non dovrebbe fare
promesse elettorali di questo genere, a spese non solo della finanza
pubblica (che è in difficoltà), ma anche della stessa pubblica
amministrazione (che non gode migliore salute). Ci si augura che
Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro dell’economia vogliano
assumere le proprie responsabilità in materia, ricordando che, dopo un
certo digiuno, è meglio mangiare poco e ordinatamente, piuttosto che
fare una scorpacciata.