domenica 17 settembre 2017

pagina99 16.9.17    
Non sembra, ma ci stiamo ancora evolvendo

Quando si parla di evoluzione, si tende solitamente a pensare a un processo lentissimo che ha riguardato i nostri antenati centinaia di migliaia di anni fa. In realtà, però, la specie umana non ha mai smesso di evolversi, e questo processo è ancora in atto. Anche oggi il nostro genoma subisce e sperimenta piccole mutazioni che determinano la presenza più o meno diffusa nella popolazione di una particolare caratteristica; analogamente a quanto accaduto per l’abilità a stare eretti per gli uomini preistorici o quella di volare per gli uccelli, che sono state trasmesse attraverso queste mutazioni genetiche e si sono via via stabilizzate nel corso del tempo grazie al meccanismo di selezione naturale che regola l’evoluzione delle specie. Da millenni ci adattiamo all’ambiente che ci ospita, e siccome sono processi che abbracciano un arco di tempo di migliaia di anni e attraversano più generazioni, per gli scienziati è assai difficile studiarli. Eppure delle tracce si trovano. Come nel caso dello studio condotto quest’anno dalle francesi Laure Segurel e Celine Bon, relativo alla mutazione genetica che ha permesso la digeribilità del lattosio nella fase adulta dell’uomo. Mutazione che si è trasmessa in base al consumo di latticini da parte delle varie popolazioni migliaia di anni fa. Non a tutti, però. Alcuni esseri umani adulti si sono “adattati”, altri no, ed è per questa ragione che oggi alcuni adulti riescono a bere latte senza problemi, mentre altri rimangono intolleranti al lattosio o comunque lo trovano difficilmente digeribile. Una nuova ricerca condotta da Molly Przeworski, Joe Pickrell e Hakhamanesh Mostafavi della Columbia University, riportata da The Conversation, ha comparato il genoma di oltre 200 mila persone in California e nel Regno Unito, rilevando che le varianti genetiche che abbassano le chance di sopravvivenza sono meno comuni nelle persone più anziane. Cioè, un carattere che diventa dannoso dopo i 60 anni abbassa le possibilità di avere una vita longeva di coloro che hanno questo tratto genetico e allo stesso tempo sarà meno comune tra coloro che vivono a lungo. Per esempio la mutazione del gene Chrna3, associata ai fumatori accaniti, tende ad essere meno frequente negli uomini di mezza età, perché coloro che hanno questo tratto genetico sopravvivono meno a lungo. Lo stesso vale per le mutazioni del gene Apoe, fattore di rischio dell’Alzheimer. Entrambi le varianti hanno degli effetti soltanto molto dopo l’età delle riproduzione, e generalmente i biologi ritengono che questo tipo di mutazioni non siano soggette a selezione, e quindi a evoluzione e che siano piuttosto comuni nella popolazione. Ma se questo è vero, come mai i ricercatori della Columbia sono riusciti a individuarne solo due? L’ipotesi più accreditata è che la selezione naturale, per garantire la sopravvivenza della specie, agisca per evitare che le mutazioni che mettono a rischio la vita delle persone diventino comuni nella popolazione.