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Non sappiamo più dire una cosa di sinistra
Un lessico neofascista sta colonizzando il linguaggio della politica
Analisi | La destra non fa più la destra, ma la plebe. E tra i democratici, dove si è realizzato il blocco sociale delle élite, si mima una lingua estranea ai propri codici. Per non perdere l’elettorato in fuga verso Lega e Cinque Stelle. Una deriva dove ognuno si aggrappa a un fascismo che abita tutte le caricature
di Pietrangelo Buttafuoco
La sinistra non dice più cose di sinistra. Matteo Renzi, titolare del marchio, ruba perfino lo slogan all’altro Matteo, Salvini, e di fronte alla marea di disperati naufraghi nel Mediterraneo, urla: «Aiutiamoli a casa loro!». La destra, invece, non fa più la destra. Fa la plebe. La destra si fa carico della schiuma degli avvinazzati al seguito del populismo occidentalista Barabba nel frattempo che la sinistra – affidatasi ai banchieri – nel non dire più certe cose realizza il blocco sociale delle élite. La sinistra sta a destra e viceversa. Uomini un tempo forgiati alle Frattocchie – la scuola quadri del Partito comunista – al calduccio delle commissioni di bilancio della Ue vivono oggi lo stesso ruolo di Maria Antonietta di Francia quando, a un passo del patibolo, al popolo che non trovava pane, diceva: «Mangiate brioche». Tutto il contrario della destra che, fattasi plebe, incapace di darsi un’avanguardia – una qualunque elaborazione politica – passa direttamente alla fase estrema dell’indistinta rabbia: l’infantilismo. Latra l’intero repertorio populista, la destra. Arraffa le budella della plebe più avvelenata, non sente ragioni non avendo testa per nessuna ragione ed è coerente solo alla caricatura disegnata dagli avversari: «Ecco le zoccole che fanno perdere la testa ai bravi ragazzi dell’Arma ». Fin qui uno dei commenti sullo stupro di Firenze giusto a saggiare il web, la casa d’identificazione e domicilio di una massa il cui orizzonte tutto semplificato, tra le liane della complessità globale, è degno di un selvatico non ancora folgorato da Jane: «Io Tarzan, tu Cita». È minoritaria la sinistra, maggioritaria –nel sentimento sempre più diffuso, ormai – è la destra. Di qua c’è Tarzan – per farla sempre più semplice–e di là c’è Cita. In rappresentanza degli immigrati, va da sé. Il Partito Democratico che sta al governo, per istinto di sopravvivenza arraffa il più possibile –in tic e lapsus –una lingua estranea al proprio codice. Alice Zanardi, il sindaco di Codigoro, militante del Pd, minaccia di far pagare più tasse a chi ospita i migranti. La presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, sostiene che un delitto è più grave se compiuto da un immigrato e così prepara gli argomenti a Dario Nardella, sindaco di Firenze – nonché pupilla, una tra le due, di Matteo Renzi – quando a commento dello stupro di cui sono accusati due carabinieri non manca di redarguire le due vittime, due ragazze americane che comunque non devono considerare la città che le ospita un luogo per «lo sballo». La frase, un lapsus, un tic propriamente rivelatore, illustra e spiega il senso di una nuova iniziativa politica: la creazione del dipartimento mamme. Ecco la parola “mamma”, ed è una scelta –ancora un lapsus, un tic –da criticare secondo la dottrina della correttezza ideologica perché ridurrebbe la donna al suo ruolo di genitore. È la mamma dei bimbi buoni, bravi a recitare l’Ave Maria piuttosto che crescere nella pedagogia del gender con genitore 1 e 2. E «due figli per donna» – va ricordato – è uno slogan di Nardella, sempre presente nell’appropriazione del lessico altrui, una tecnica ormai obbligata per gli apparati periferici e centrali del partito che fu dell’egemonia culturale per non perdere un elettorato popolare in fuga verso il Movimento Cinque Stelle e la Lega Nord, che è pur sempre«una costola»,per dirla con Massimo D’Alema, della sinistra. Una certa retorica della madre, o della razza, dunque, forse riconoscibile nell’iconografia comunista, laddove il manifesto della famiglia incontra i valori della probità proletaria – come pure la razza, mutuata nella contrapposizione contro la malarazza degli squali profittatori –una precettistica, comunque, irriconoscibile nel salotto altolocato della sinistra stretta d’assedio, più che da un fascismo sottinteso, da un malinteso esercizio dell’infantilismo populista. C’è, quindi, il viceversa della destra che fiuta il vento dell’occasione buona e sta a sinistra. Dismette i valori del sacro –perfino il manto della Madonna se c’è da fare la guerra al velo islamico – e si esercita nella maschera del ba-bau, con un retrogusto di fascisteria caricaturale al punto da risultare anti-fascista. Fascisti, dunque, come mai, e poi mai, il fascismo storico sarebbe stato, sono i galletti del pollaio destrorso se si pensa che perfino la canzone Faccetta Nera, con gli slogan di oggi, difficilmente avrebbe spazio nella pubblicistica di destra: «Ti porteremo a Roma liberata, dal sole nostro tu sarai baciata». Ma quando mai, lo ius soli a una negra? Silvio Berlusconi, nella sua convinzione di liberale, non manca mai di notificare alla destra il proprio disprezzo. «Qual è la sua opinione su Donald Trump?», gli domanda David Parenzo in un’intervista tivù, e per tramite di una risposta, una formidabile battuta – «Ha una bellissima moglie» –, l’unico leader di un’alter - nativa di governo alla sinistra stabilisce la distanza con le Sturm-Truppen d’Italia a costo di sacrificare i consensi della bottega elettorale. Tanto più ottusa la sinistra si disegna la destra– a proprio uso e consumo – quanto più, questa, si precipita a darle ragione: i militanti di Forza Nuova che vanno a controllare l’omelia di don Biancalani a Pistoia, il prete che porta in piscina i migranti, fanno rivoltare il rivoluzionario Benito Mussolini nella tomba di Predappio. Il primo socialista presidente del Consiglio nell’Italia contemporanea –questo resta Mussolini, libri di Renzo De Felice alla mano –coi sacerdoti di SantaRomana Chiesa inscenava il duello dei duelli: «Ecco qui il mio orologio, se Dio c’è, ha cinque minuti di tempo per incenerirmi ». Dopo, instaurato il regime, sottoscriveva i Patti Lateranensi, ma la clausola richiesta dal Pontefice –l’abbattimento della statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori, a Roma –la cancellava di proprio pugno, con un tratto di penna. I fascisti immaginari di oggi trovano alloggio in una destra il cui repertorio di volgarità capovolge il capitolo di grandezza e tragedia di una Rivoluzione che avvia il proprio cammino al fianco di giganti dell’arte, della letteratura, della filosofia e della giurisprudenza. E i nomi sono quelli di Alfredo Rocco, di Giovanni Gentile, di Luigi Pirandello che aderisce all’indomani del delitto Matteotti e di Mario Sironi. Ce ne sono tanti altri di nomi, altrettanto di grandissimi e di miserabili, perché quella della stagione di Benito Mussolini è la memoria di tutti con il contrario di tutto ma quel che passa il convento dei luoghi comuni di oggi – alla mensa degli anatemi e degli esorcismi ideologici –non è fascismo. Il fascismo, infatti, non fu fascista. Fu prassi, fu l’arcitalia e fu strapaese. Non fu mai di destra. E se il fascismo oggi rappresenta il male assoluto lo è in virtù di un ben più raffinato trucco di cosmesi linguistica, uno stratagemma messo in atto dai sovietici durante la guerra per consegnare all’immaginario della dannazione eterna quel Partito socialista tedesco dei lavoratori che, a parte l’abbreviazione – “nazi” – serba il rischio di svelare la parola “socialista”, pur sempre gravida di dolcezza umanistica. Ma il fascismo non fu, appunto, fascista. Il fascismo dopo il 25 aprile 1945 è solo una trappola semantica cui si destina, esaurita la nostalgia dei vinti, il sorcio male in arnese della destra populista. Giusto quella destra per un fascismo che mai di destra fu. Di tutto quel Novecento – quello dei fascisti, tutti morti ormai –resta una deriva che tocca l’Italia intera e non certo solo la fazione che ebbe a soccombere nella guerra civile se la Germania di oggi, proprio quella stretta intorno al bunker del Cancelliere del Reich, oggi è alla pari delle potenze vincitrici nel conflitto mondiale, e la patria della Resistenza invece, no. La sinistra non dice più cose di sinistra, la destra non fa la destra ma tutti – in un’orgia linguistica – s’aggrappano a un fascismo che abita tutte le caricature. Non ci sono solo i capitomboli della geografia politica – il viceversa degli uni e degli altri – ci sono anche i capovolgimenti della storia. Dove poco può la mamma, figurarsi la razza.