La Stampa 9.9.17
Sui monti, nel nome di Dolcino spiriti ribelli e liberi pensatori
Nel Biellese il mito del frate eretico rivive a distanza di 710 anni
di Paola Guabello
E’
un rito che si ripete puntuale da 43 anni ma che affonda le sue radici
agli albori del Secolo Breve, quando 10 mila persone, come le cronache
dell’epoca raccontano, nel 1907 si radunarono attorno a un cippo alto 12
metri (con 4 metri di base) che si vedeva a distanza perfino nella
bassa Biellese. Anche quest’anno, sul monte Rubello, il luogo dove 710
anni fa Fra Dolcino fu catturato e ucciso nel 1307, tornano a salire gli
«spiriti ribelli», un gruppo di irriducibili che ogni anno attende i
primi giorni di settembre per riaccendere i suoi ideali. Anarchici,
vecchi socialisti, operai, studiosi e perfino qualche ormai raro
partigiano. E poi curiosi e simpatizzanti che arriveranno da tutto il
Nord Ovest, pronti a sfidare nuvole e nebbia, se il tempo li tradisce, o
a godere degli ultimi tepori estivi e di una vista spettacolare, per
salire al cippo nel cuore della Panoramica Zegna.
Nel punto esatto
dello sterminio, e dove a forza di pietre e fatica era stato eretto il
primo monumento, oggi c’è il santuario di San Bernardo che gli abitanti
del Biellese e della Valsesia vollero edificare «in lode al Signore per
la sconfitta del frate ribelle». Ma di fronte, a poca distanza, c’è il
luogo in cui una delle figure-simbolo e indimenticate della storia e
della cultura piemontese, Gustavo Buratti, fece erigere il nuovo cippo
nel 1974.
I ribelli riscoperti
Così Dolcino e Margherita,
rivivono sulle Alpi biellesi che incorniciano Trivero, nella selvaggia
Valsessera; così le loro ultime ore di spiriti liberi, mentre si
trovavano arroccati su quel monte a combattere contro il freddo e la
fame, piegati dalle truppe vescovili, non saranno mai più dimenticate.
«Fu
alla fine della II Guerra Mondiale che Dolcino venne riscoperto -
spiega il presidente del Centro Studi Dolciniani Aldo Fappani -. Già a
fine 800, dopo secoli di oblio, la figura del frate eretico venne
riabilitata. Erano stati i nobili, i valdesi, gli anarchici e chi mal
sopportava i condizionamenti, a far del personaggio un vessillo del
libero pensiero. Nel ’900, gli esponenti biellesi di quella corrente
acquistarono un piccolo terreno in cui si ritrovarono davvero in tanti e
festeggiarono attorno alla torre alta 12 metri. Poi il fascismo mise
tutto a tacere: il cippo, nell’agosto del 1927, fu abbattuto a colpi di
cannonate. ma finita la guerra gli abitanti di Mosso e chi era emigrato
per salvarsi, tornarono sul monte Rubello. Con la biacca, sul rudere
scrissero “queste pietre sono sacre”, scavarono e ritrovarono i cimeli
della gloriosa giornata. Fu poi Buratti, che decise di ricostruire il
cippo e di ripetere il rito. Così dal 1974 ci ritroviamo e saliamo in
quota».
Il predicatore apostolico, ostile a Roma e a papa
Bonifacio VIII, che aveva assistito al rogo di Margherita e del suo
luogotenente Longino da Bergamo prima di passare per le armi, continua
dunque a vivere. «Lo citò anche Dante, - prosegue Fappani -. Dolcino era
considerato apostolo del “Gesù socialista”, un martire del libero
pensiero. Un pacifista che suo malgrado non ha abbassato il capo ma ha
imbracciato la spada contro i crociati pur di difendere le sue idee. Per
questo resta un simbolo per i tanti che ogni anno affrontano la
passeggiata per sentirsi parte della giornata dolciniana».