mercoledì 6 settembre 2017

La Stampa 6.9.17
“Alle Hawaii reddito di cittadinanza contro le macchine intelligenti”
di Paolo Mastrolilli

La rivoluzione è cominciata. Preoccupate dall’avanzata dei robot, che minacciano di togliere il lavoro agli esseri umani, le Hawaii sono diventate il primo Stato americano a considerare uno stipendio basilare garantito per tutti i suoi abitanti. Un «reddito di cittadinanza», se vogliamo, che sta già provocando polemiche, ma inizia ad emergere come rete di protezione per chi non riuscirà a sopravvivere all’innovazione tecnologica in corso.
Negli Stati Uniti la rivoluzione robotica procede con rapidità e infatti il numero degli americani senza laurea occupati è già sceso al 55% del totale. Tutti concordano sul fatto che le risposte giuste a questo cambiamento sono due: primo, fare in modo che le nuove tecnologie producano anche nuovi lavori; secondo, riqualificare chi perde un posto superato affinché possa ritrovarne uno richiesto e necessario. Non tutti però ce la faranno e, quindi, si pone il problema di cosa fare con chi resterà comunque emarginato. Il deputato delle Hawaii Chris Lee ha risposto presentando una proposta di legge, che impegna il suo Stato a studiare nei prossimi mesi l’introduzione di un «universal basic income». La sua idea parte dal fatto che l’economia delle isole dove era cresciuto l’ex presidente Obama si basa soprattutto sul turismo e il settore che fornisce questi servizi viene già colpito duramente dall’automazione. Siccome, però, le bellezze naturali delle Hawaii che attirano i visitatori sono un patrimonio di tutti i loro abitanti, è giusto che i residenti ricevano un «dividendo delle spiagge», un po’ come chi vive in Alaska riceve una frazione dei profitti del petrolio.
I critici rispondono sottolineando due problemi: primo, dove prendere i soldi, considerando che per dare 10 mila dollari all’anno a tutti gli abitanti delle isole servirebbero 10 miliardi; secondo, come evitare il rischio che questo reddito garantito spinga la gente a smettere di lavorare o attiri pigri e scrocconi nello Stato. Un’ipotesi per risolvere il primo punto sarebbe introdurre una tassa proprio sulle proprietà e le attività turistiche, da redistribuire, mentre gli studi richiesti dalla proposta di legge di Lee dovrebbero trovare la risposta al secondo.
L’amministrazione Trump non è incline ad appoggiare simili idee, ma Stati e città possono realizzarle di loro iniziativa. Anche l’area di San Francisco, ad esempio, le sta considerando, mentre progetti pilota sono partiti un po’ ovunque, dal Kenya alla Finlandia. Peraltro lo stesso presidente repubblicano Nixon aveva proposto qualcosa di simile negli Anni 70, senza però convincere il Congresso a seguirlo. Trovare la soluzione dunque non sarà facile, ma il dibattito è cominciato.