La Stampa 29.9.17
L’amara verità capitolina
di Marcello Sorgi
Se
il Movimento 5 Stelle ha deciso ancora una volta - Grillo, garante, in
testa a tutti - di far quadrato attorno a Virginia Raggi, per la quale
ieri la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di
falso, è per una serie di ragioni, non tutte perfettamente logiche, ma
di sicuro condivise dal popolo stellato.
La prima è che la
situazione processuale della sindaca di Roma si è alleggerita: sono
cadute le accuse di abuso di ufficio per le nomine di Salvatore Romeo a
capo della segreteria e di Renato Marra (fratello di Raffaele,
attualmente agli arresti domiciliari per corruzione) a dirigente del
dipartimento turismo. Raggi, al tempo di queste scelte circondata da una
sorta di cerchio magico dal quale si è (o è stata dal Movimento)
rapidamente liberata, difficilmente riuscirà a sfuggire alla condanna in
primo grado per falso, dato che mentì all’Anticorruzione, pensando di
salvarsi dalla stretta fatale dei suoi loschi collaboratori di allora e
dicendo di aver deciso tutto da sola, quando invece intercettazioni
telefoniche e documenti firmati dimostrano che non andò così.
Molto
probabilmente, quando i giudici emetteranno la loro sentenza (che
segnerà anche un primo momento di rottura tra il Movimento e la
magistratura), la sindaca sarà costretta ad autosospendersi come ha
fatto il suo collega Cinque Stelle, primo cittadino di Bagheria, ma non
per questo M5S mollerà la presa sul Campidoglio romano. Anzi, per come
sono fatti gli elettori del Movimento, e per come s’è visto di recente a
Rimini, la Raggi continuerà ad essere un’icona stellata quasi dello
stesso livello di Di Maio e Di Battista, e saranno in molti a credere
(glielo faranno credere) che contro di lei sia stata ordita una
macchinazione quando era stata appena eletta, approfittando della sua
iniziale inesperienza.
In altre parole, rispetto alla Raggi,
Grillo, Casaleggio e Di Maio (il quale, inquisito a sua volta, si tiene a
debita distanza da quella che potrebbe rappresentare la prima grana
della sua neonata leadership) hanno deciso di comportarsi con un
atteggiamento opposto a quello che il Pd renziano ebbe verso il sindaco
Marino: defenestrato a costo perfino di far firmare dai consiglieri
comunali al cospetto di un notaio l’autoaffondamento dell’intero
Campidoglio, con il bel risultato di consegnarlo in blocco ai Cinque
Stelle, che mai e poi mai avrebbero sperato di conquistare il governo
della Capitale.
Naturalmente tutto ciò avviene in base a un
mediocre e progressivo aggiustamento del codice etico del Movimento: dal
semplice avviso di garanzia, l’argine è slittato via via al rinvio a
giudizio e adesso alla condanna in primo grado: alla quale, c’è da
giurarci, in qualche modo Raggi sopravviverà politicamente, continuando a
galleggiare sullo stato di degrado in cui Roma è caduta. Un decadimento
insopportabile, certo non tutta responsabilità sua, dato che le due
precedenti amministrazioni avevano alzato bandiera bianca di fronte agli
enormi e ormai quasi irrisolvibili problemi di Roma; ma aggravato
dall’evidente rinuncia della sindaca a farci i conti e a cercare
soluzioni, essendo preferibile, per lei e i suoi sostenitori, denunciare
quotidianamente il complotto che impedirebbe alla nuova amministrazione
di lavorare.
La verità, amara quanto si vuole, ma altrettanto
inconfutabile e ben chiara ai Cinque Stelle, è che Roma diventa, sì,
ogni giorno più invivibile, ma il ricordo della corruzione recente e
l’impressione lasciata, al di là della conclusione, dal processo «Mafia
capitale», sono ancora molto forti. E i romani, disillusi per natura e
per la storia millenaria che hanno alle spalle, preferiscono tenersi la
Raggi, piuttosto che veder tornare in Campidoglio un politico di
professione, di centrosinistra o centrodestra.