venerdì 1 settembre 2017

La Stampa 1.9.17
Se il religioso va alla guerra con se stesso
di Ferdinando Camon


La notizia che l’attuale papa Francesco, quando aveva 42 anni, andò in analisi, ti entra nel cervello e non ne esce più. È sconvolgente: un alto esponente della Chiesa Cattolica va in analisi; va da una psicanalista-donna; che è anche ebrea. Quelli che ragionano sull’analisi e sulla religione sono convinti che siano due contrari. Questo perché la fede parte dalla rivelazione: la verità è stata rivelata, una volta per tutte. Sappiamo che cosa è bene e che cosa è male.
Mentre l’analisi è ricerca incondizionata: se alla tua ricerca metti dei limiti (non parlerò di mia madre o della mia amante), l’analisi fallisce, anzi non comincia nemmeno. Cesare Musatti, presidente della Società Psicanalitica Italiana, esprimeva questo concetto ricorrendo alla metafora della guerra civile: l’analisi è una guerra civile, chi va in analisi è in guerra con se stesso, è come uno Stato in cui una parte dei cittadini si ribella e combatte contro gli altri.
Lo Stato non può dire: combatterò i ribelli a Torino e a Milano, ma non a Venezia e a Trieste, perché se parla così succede che tutti i ribelli si rifugiano a Venezia e a Trieste, e quelle città, che lo Stato voleva risparmiare, dovrà raderle al suolo. Pasolini andò in analisi da Musatti e dopo poche sedute disse: «Non parlerò della mia omosessualità, perché è natura». Musatti rispose: «Ne parlerà comunque, anche senza volerlo». Pasolini entrò in un’angoscia tremenda, e dopo sette-otto sedute non si presentò più. È mia opinione che lì sia accaduto un grave errore di Musatti. Perché tu, analista, non puoi dire al tuo paziente qualcosa che il tuo paziente in quel momento non è in grado di reggere. Aspetta, hai tutta l’eternità a disposizione. Se glielo dici in anticipo, e quello entra in crisi e si ritira, la colpa è tua. Musatti faceva l’analisi anche a preti e membri della gerarchia cattolica. Diceva che venivano a lui col permesso dei superiori.
L’analisi è l’esame delle potenti figure interiori che ti porti dentro, se sei cattolico la prima di queste potenti figure interiori è Cristo: non puoi iniziare una battaglia, nella quale puoi trovarti di fronte Cristo, senza dire ai tuoi che parti per il fronte. Un profondo e delicato psicanalista freudiano, Giovanni Gozzetti, allievo prediletto di Salomon Resnik, argentino (il quale è l’autore delle voci di psicanalisi dell’Enciclopedia Einaudi), aveva un paziente cattolico che a un certo punto gli annunciò: «Piuttosto di mettere in discussione Cristo, preferisco ritirarmi», e non si fece più vedere. Probabilmente era questo che temevano i cardinali del film «Habemus Papam» di Nanni Moretti, quando si presentò il problema se il papa (appena eletto, e in crisi col nuovo ruolo) poteva andare in analisi: in analisi? E parlare dei sogni? No no no. Se va in analisi, è la Curia che stabilisce di che cosa può parlare, e di che cosa no.
L’analisi è una discesa dentro te stesso, in una profondità che non conosci, là sotto troverai un te stesso che ignori, può incantarti ma anche spaventarti, puoi tornar su deciso a proseguire per la strada di prima oppure a fare una inversione a U. Non è affatto detto, come credono gli psicanalisti anti-cattolici, che analisi e fede siano due nemiche. Viktor Frankl lo dimostra. E ora anche l’analisi di Bergoglio. Perché ha avuto una conclusione stupefacente: è durata poco, sei mesi, e aveva un ritmo blando, una seduta per settimana, ma alla fine successe qualcosa di raro: in punto di morte, fu la psicanalista a chiamare l’ex-paziente, «per un dialogo spirituale». In analisi le due forze che agiscono sono il transfert, che lega il paziente all’analista, e il controtransfert, che lega lo psicanalista al paziente. Se succede che il secondo sia più forte del primo, allora è lo psicanalista che è in analisi dal suo paziente. Andò così con Bergoglio?