La Stampa 18.9.17
“Ogni caso è diverso non c’è una cura unica” Shiatsu, teatro e sport
Un
giovane africano dai capelli rasta fissa la campagna l’intero
pomeriggio. Si rianima solo per fuggire l’obiettivo. «No foto», si copre
il volto. In Italia ci sono 600 ospiti nelle Rems e 300 in lista
d’attesa. Quanto sia complicato occuparsi di loro lo dimostra questa ex
scuola alle porte di Parma riconvertita nel 1999 in residenza per
patologie psichiatriche croniche e poi ristrutturata e divenuta
nell’aprile 2015 una delle prime Rems istituite dalla legge 81 del 2014
che ha chiuso gli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari. Vetri
antisfondamento alle finestre, una recinzione perimetrale ed impianti di
videosorveglianza lungo la recinzione e negli spazi comuni interni, 23
operatori che si alternano in un programma personale di cura e di
riabilitazione che dura in media un anno. La responsabile Giuseppina
Paulillo ha sulla scrivania il piano delle attività interne, delle
uscite di gruppo e delle licenze individuali degli ospiti autorizzate
dalla magistratura. Cinque cooperative sociali alternano attività di
escursionismo, shiatsu, laboratori teatrali, informatici e sportivi.
Attorno villette monofamiliari e campi di mais. Davanti al municipio e
al bar-ritrovo dei tifosi del Parma, poca voglia di parlare della Rems.
Un anno e mezzo fa un tunisino arrivato qui dalla casa di reclusione di
Piacenza ha scavalcato la recinzione e nessuno lo ha più ritrovato. Il
vicinato si è allarmato, molti hanno protestato. Per lo psichiatra
Giovanni Francesco Frivoli e lo psicoterapeuta Pietro Domiano, nessuno
dei 26 malati psichiatrici è finito tra queste mura per un crimine
commesso nel raptus di un istante. «Hanno tutti un vissuto doloroso che
li ha portati qui», chiariscono Ivana Molinaro e Sandra Grignaffini
rispettivamente tecnico della riabilitazione e coordinatrice
infermieristica. In una stanza un sacco da boxe, nel giardino l’orto e
un biliardino. Qui c’è chi ha commesso un omicidio o uno stupro, chi ha
indirizzato la violenza verso i propri familiari. «Siamo un luogo di
cura più che di detenzione- spiega Paulillo-.Collaboriamo con i servizi
sociali per i progetti riabilitativi, il sostegno socioeconomico e la
reinclusione sociale». Ridurre l’uso di psicofarmaci e non far ricorso
alla contenzione sono scelte che richiedono un’attenzione continua al
singolo. «Ci affidano persone sole e prive di mezzi, non esistono
percorsi validi per tutti, ognuno ha bisogni e disagi differenti»,
allarga le braccia Frivoli.
Gia.Gal.