La Stampa 10.9.17
“Quando Picasso si innamorò dei Balletti Russi”
Olivier Berggruen, Storico dell’arte
di Alain Elkann
Olivier
Berggruen è il curatore della mostra Pablo Picasso. Tra Cubismo e
Neoclassicismo 1915-1925 che si apre a Roma il 20 settembre alle
Scuderie del Quirinale e a Palazzo Barberini. «È il centesimo
anniversario del viaggio di Picasso a Roma e Napoli - spiega - con
Cocteau e Diaghilev. Picasso aveva 35 anni e aveva perso
inaspettatamente una donna amata, Eva Gouel: cittadino spagnolo, non
aveva obblighi militari; perciò decise di sfuggire all’atmosfera
opprimente di Parigi durante la guerra».
Come nacque la collaborazione con Cocteau e Diaghilev?
«Cocteau
lo “sedusse” e lo convinse a collaborare ai Balletti Russi sotto la
guida di Diaghilev, il grande impresario russo che nel 1913 cambiò la
scena artistica in Europa con La Sagra della primavera con le musiche di
Igor Stravinsky. Era un’opportunità per Picasso, ma anche per
Diaghilev, che aveva bisogno di idee e spunti innovativi e desiderava
entrare in contatto con l’avanguardia incarnata da Picasso. E il
balletto russo aveva il suo quartier generale all’Hotel de Russie di
Roma. A Roma Picasso entrò in contatto con un gruppo internazionale di
celebrità; Stravinsky, Diaghilev, Leonide Massine, primo ballerino e
coreografo dei Balletti Russi, Leon Bakst, e i futuristi italiani come
Balla, Prampolini e Fortunato Depero. Insieme lavorarono
all’allestimento di Parade con la musica di Erik Satie, che venne
rappresentato a Parigi e non a Roma».
Perché il sipario di Picasso perParadesarà esposto a Palazzo Barberini ?
«Perché
è enorme! Misura 17 metri e Palazzo Barberini ha uno spazio magnifico,
la Sala Pietro da Cortona, ed è a pochi passi dalle Scuderie del
Quirinale dove è ospitata la mostra principale. Ho pensato che sarebbe
stato bello il contrasto tra il sipario ampio, molto teatrale di Picasso
e lo stretto soffitto del XVII secolo del pittore romano Pietro da
Cortona».
Questo viaggio in Italia influenza notevolmente il lavoro di Picasso?
«Sì,
enormemente. Lavorare a un allestimento teatrale gli diede
l’opportunità di sviluppare alcune delle sue idee cubiste, come la
nozione di costruzione e assemblaggio. Utilizzò le texture e le
superfici delle sue composizioni cubiste per ridefinire lo spazio,
compreso lo spazio di una produzione teatrale. Il Cubismo divenne aperto
- non solo uno stile, ma uno strumento prezioso per articolare e
riunire vari elementi all’interno di un singolo schema, come ad esempio
un dipinto o una scenografia».
A Roma, Picasso si innamorò anche di una ballerina russa, Olga Khokhlova, e le fece molti ritratti, non è vero?
«Sì.
Picasso amava l’ambiente dei Balletti Russi, e ha ritratto anche altre
ballerine della compagnia, come Lydia Lopokova, che alcuni anni dopo
sposò l’economista John Maynard Keynes. Picasso corteggiò Olga a Roma e
un anno dopo si sposarono a Parigi. Fu influenzato dalla traiettoria
delle linee della danza, dal movimento dei ballerini nello spazio e
forse le linee fluide di alcuni dei suoi disegni dei primi Anni 20
riflettono questa vicinanza e il suo amore per il mondo del balletto».
Quali sono i principali capolavori in mostra?
«La
mostra si apre con l’Homme accoudé sur une table del 1915, appartenente
alla Pinacoteca Agnelli di Torino. Ci sono i tre dipinti realizzati
durante il soggiorno a Roma, compreso Arlecchino e donna con collana dal
Pompidou di Parigi. Capolavori dei primi Anni 20 come Arlecchino allo
specchio del museo Thyssen-Bornemisza di Madrid o il monumentale Grand
nu à la draperìe dal Musée de l’Orangerie di Parigi e il Flauto di Pan,
dal Museo Picasso; si conclude con I tre ballerini (1925) dalla Tate
Gallery, che segna simbolicamente l’addio di Picasso al mondo della
danza. Abbiamo anche moltissimi disegni e un’affascinante e fin qui
ignota corrispondenza del 1917 tra Picasso e i suoi amici, ora nella
collezione del Metropolitan Museum di New York. Il catalogo sarà
pubblicato da Skira».
Ha deciso di curare questa mostra per via dei legami familiari con Picasso?
«No.
Nel 2006 ho curato una grande mostra, Picasso and the Theatre alla
Schirn Kunsthalle di Francoforte e sono rimasto colpito da due cose.
Innanzitutto quanto fossero originali le opere di Picasso tra il 1917 e
il 1925; poi quanto fosse importante il suo lavoro di scenografo:
influiva sullo svolgimento delle storie, l’allestimento e la concezione
del palcoscenico. Tutti gli elementi del palco portano la sua impronta
di raffinata eleganza e semplicità all’interno del canone modernista».
Da dove viene il suo amore per Picasso?
«Da
mio padre, Heinz Berggruen, che non è stato solo un collezionista delle
opere di Picasso ma ha anche lavorato a stretto contatto con lui negli
Anni 50 e 60 come editore. Picasso e mio padre hanno creato insieme una
serie di libri illustrati. C’era una ricchezza incomparabile nei dipinti
e nelle sculture di Picasso che erano nella nostra casa di Parigi. Mio
fratello Nicolas e io siamo stati molto fortunati a crescere circondati
da grandi opere, che riflettevano la purezza della visione di nostro
padre».
Traduzione di Carla Reschia