il manifesto 8.9.17
La durezza del Capitale
Ricorrenze.
L’11 settembre l’opera di Karl Marx compirà i suoi primi 150 anni. La
stesura del libro, iniziata nel 1862, venne funestata dalla povertà
economica dell’autore e dalla sua precaria salute
di Marcello Musto
L’opera
che, forse più di qualunque altra, ha contribuito a cambiare il mondo,
negli ultimi centocinquant’anni, ebbe una lunga e difficilissima
gestazione. Marx cominciò a scrivere Il capitale solo molti anni dopo
l’inizio dei suoi studi di economia politica. Se aveva criticato la
proprietà privata e il lavoro alienato della società capitalistica già a
partire dal 1844, fu solo in seguito al panico finanziario del 1857,
iniziato negli Stati Uniti e poi diffusosi anche in Europa, che si sentì
obbligato a mettere da parte le sue incessanti ricerche e iniziare a
redigere quella che chiamava la sua «Economia».
CON L’INSORGERE
della crisi, Marx presagì la nascita di una nuova stagione di
rivolgimenti sociali e ritenne che la cosa più urgente da fare fosse
quella di fornire al proletariato la critica del modo di produzione
capitalistico, presupposto essenziale per il suo superamento. Nacquero
così i Grundrisse, otto corposi quaderni nei quali, tra le altre
tematiche, egli prese in esame le formazioni economiche
precapitalistiche e descrisse alcune caratteristiche della società
comunista, sottolineando l’importanza della libertà e dello sviluppo dei
singoli individui. Il movimento rivoluzionario, che egli credeva
sarebbe sorto a causa della crisi, restò un’illusione e Marx non
pubblicò i suoi manoscritti, consapevole di quanto fosse ancora lontano
dalla piena padronanza degli argomenti affrontati. L’unica parte data
alle stampe, dopo una profonda rielaborazione del «Capitolo sul denaro»,
fu Per la critica dell’economia politica, testo che uscì nel 1859 e che
venne recensito da una sola persona: Engels.
Il progetto di Marx
era quello di dividere la sua opera in sei libri. Essi avrebbero dovuto
essere dedicati a: capitale, proprietà fondiaria, lavoro salariato,
Stato, commercio estero, mercato mondiale. Quando, però, nel 1862, a
causa della guerra di secessione americana, la New York Tribune licenziò
i suoi collaboratori europei, Marx – che aveva lavorato per il
quotidiano americano per oltre un decennio – e la sua famiglia
ritornarono a vivere in condizioni di terribile povertà, le stesse
patite durante i primi anni del loro esilio londinese. Non aveva che
l’aiuto di Engels, al quale scrisse: «ogni giorno mia moglie mi dice che
vorrebbe essere nella tomba con le bambine e, in verità, non posso
fargliene una colpa, poiché le umiliazioni e le pene che stiamo subendo
sono davvero indescrivibili».
La sua condizione era così disperata
che, nelle settimane più buie, vennero a mancare il cibo per le figlie e
la carta per scrivere. Cercò anche di ottenere un impiego in un ufficio
delle ferrovie inglesi. Il posto, però, gli venne negato a causa della
sua pessima grafia. Pertanto, per poter fare fronte all’indigenza, il
lavoro di Marx continuò a subire grandi ritardi.
Ciò nonostante,
in questo periodo, in un lunghissimo manoscritto intitolato Teorie sul
plusvalore, compì un’accuratissima disamina critica del modo in cui
tutti i maggiori economisti avevano erroneamente trattato il plusvalore
come profitto o rendita. Per Marx, invece, esso costituiva la forma
specifica mediante la quale si manifesta lo sfruttamento nel
capitalismo. Gli operai trascorrono una parte della loro giornata a
lavorare gratuitamente per il capitalista.
QUEST’ULTIMO CERCA in
tutti i modi di generare plusvalore mediante il pluslavoro: «non basta
più che l’operaio produca in generale, deve produrre plusvalore», ovvero
deve servire all’autovalorizzazione del capitale. Il furto di anche
solo pochi minuti sottratti al pasto o al riposo di ogni lavoratore
significa lo spostamento di un’immensa mole di ricchezza nelle tasche
dei padroni. Lo sviluppo intellettuale, l’adempimento di funzioni
sociali, il tempo festivo sono per il capitale «fronzoli puri e
semplici». Après moi le déluge! era per Marx – anche in considerazione
della questione ecologica (da lui presa in considerazione come pochi
altri autori del suo tempo) – il motto dei capitalisti, anche se poi,
ipocritamente, si opponevano alla legislazione sulle fabbriche in nome
della «piena libertà del lavoro». La riduzione dei tempi della giornata
lavorativa, assieme all’aumento del valore della forza-lavoro,
costituivano, dunque, il primo terreno sul quale andava combattuta la
lotta di classe.
NEL 1862, Marx scelse il titolo per il suo libro:
Il capitale. Credeva di poter dare subito inizio alla stesura in forma
definitiva, ma alle già durissime vicissitudini finanziarie si
aggiunsero i gravissimi problemi di salute. Comparve, infatti, quella
che la moglie Jenny definì «la terribile malattia», contro la quale Marx
avrebbe dovuto lottare per molti anni della sua vita. Fu affetto dal
carbonchio, un’orrenda infezione che si manifestava con l’insorgenza, in
più parti del corpo, di una serie di ascessi cutanei e di estese,
debilitanti foruncolosi. A causa di una profonda ulcera, seguita alla
comparsa di un grande favo, Marx fu operato e «rimase, per parecchio
tempo, in pericolo di vita». La sua famiglia fu, più che mai, sull’orlo
dell’abisso.
IL MORO (era questo il suo soprannome), però, si
riprese e, fino al dicembre del 1865, realizzò la vera e propria stesura
di quello che sarebbe diventato il suo magnum opus. Inoltre, a partire
dall’autunno del 1864, partecipò assiduamente alle riunioni
dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, per la quale redasse,
durante otto intensissimi anni, tutti i principali documenti politici.
Studiare di giorno in biblioteca, per mettersi al passo con le nuove
scoperte, e portare avanti il suo manoscritto nel corso della notte: fu
questa la sfibrante routine alla quale si sottopose Marx fino
all’esaurimento di ogni energia e allo sfinimento del suo corpo.
Anche
se aveva ridotto il suo progetto iniziale di sei libri a tre volumi sul
capitale, Marx non voleva abbandonare il proposito di pubblicarli tutti
insieme. Scrisse, infatti, a Engels: «non posso decidermi a licenziare
nulla prima che il tutto mi stia davanti. Quali che siano i difetti che
possono avere, questo è il pregio dei miei libri: essi costituiscono un
tutt’uno artistico, risultato raggiungibile soltanto grazie al mio
sistema di non darli alle stampe prima che io li abbia interamente
davanti a me». Il dilemma di Marx – «ripulire una parte del manoscritto e
consegnarla all’editore o finire di scrivere prima tutto completamente»
– venne risolto dagli eventi. Marx fu colpito da un altro attacco di
carbonchio, il più virulento di tutti, e fu in pericolo di vita. A
Engels raccontò che ne era «andata della pelle»; i medici gli avevano
detto che le cause della sua ricaduta erano stati l’eccesso di lavoro e
le continue veglie notturne: «la malattia veniva dalla testa». A seguito
di questi avvenimenti, Marx decise di concentrarsi sul solo Libro
Primo, quello inerente il «Processo di produzione del capitale».
TUTTAVIA,
I FAVI continuarono a tormentarlo e, per intere settimane, Marx non fu
nemmeno in grado di stare seduto. Egli tentò persino di operarsi da
solo. Si procurò un rasoio ben affilato e raccontò a Engels di essersi
«estirpato lui stesso quella cosa dannata». Stavolta, il completamento
dell’opera non venne procrastinato a causa «della teoria», ma per
«ragioni fisiche e borghesi».
Quando, nell’aprile del 1867, il
manoscritto venne finalmente ultimato, Marx chiese all’amico di
Manchester – che l’aveva aiutato incessantemente per un ventennio – di
inviargli il denaro per poter disimpegnare «il vestiario e l’orologio
che si trovano al Monte dei pegni». Marx era sopravvissuto con il minimo
indispensabile e senza quegli oggetti non poteva partire per la
Germania, dove era atteso per la consegna del manoscritto da dare alle
stampe.
Le correzioni delle bozze si protrassero per tutta
l’estate e quando Engels fece notare a Marx che l’esposizione della
forma del valore risultava troppo astratta e che «risentiva della
persecuzione dei foruncoli», questi gli rispose: «spero che la borghesia
si ricorderà dei miei favi fino al giorno della sua morte».
Il
capitale venne messo in commercio l’11 settembre del 1867. Un secolo e
mezzo dopo la sua pubblicazione, è annoverato tra i libri più tradotti,
venduti e discussi della storia dell’umanità. Per quanti vogliano
comprendere cosa sia davvero il capitalismo, e anche perché i lavoratori
debbano lottare per una «forma superiore di società, il cui principio
fondamentale sia lo sviluppo pieno e libero di ogni individuo», Il
capitale è, oggi più che mai, una lettura semplicemente imprescindibile.