il manifesto 28.9.17
Ius soli, il Pd cede ad Alfano. E Gentiloni resta in silenzio
Anche la ministra Lorenzin dice No. La legge sparisce dal Senato. Zanda: «Discuterla ora equivarrebbe a ucciderla»
di C.L.
«Mancano
24 voti», spiega nel pomeriggio di ieri il capogruppo Pd al Senato
Luigi Zanda. «Mancano 30 voti», rilancia poco dopo la ministra per i
Rapporti con il parlamento Anna Finocchiaro. Pallottoliere alla mano, il
rappresentante del principale partito di maggioranza e quello del
governo concordano nel sentenziare la fine dello ius soli. Certo, sia
l’uno che l’altra assicurano di non voler abbandonare le speranze di
vedere approvata la legge entro la fine della legislatura, perché adesso
«bisogna cercare i voti con la politica, con il compromesso», come
spiega Finocchiaro. Ma per intanto quello del ddl sulla cittadinanza è
un capitolo chiuso, una partita finita. Game over.
Un tentativo di
riportare in vita la legge era stato fatto durante la riunione dei
capigruppo da Sinistra italiana e Mdp. Entrambi i partiti hanno chiesto
di poter calendarizzare lo ius soli dopo il 4 ottobre, una volta
superato in aula lo scoglio del Def. Non si tratta di un giorno preso a
caso. Il periodo scelto rappresenta infatti la famosa «finestra» che lo
stesso Zanda solo qualche settimana fa aveva indicato come il momento
migliore per discutere e finalmente varare il provvedimento. Ma il
capogruppo del Pd nel frattempo deve averci ripensato. «Portare oggi in
aula lo ius soli significherebbe condannarlo a morte certa e definitiva,
e purtroppo i sette senatori di Sinistra italiana e i pochi di altre
componenti che oggi voterebbero a favore non sono sufficienti a formare
una maggioranza», sentenzia quindi bocciando la proposta.
Si
ripete così quanto accaduto all’inizio di settembre, quando l’ufficio di
presidenza decise di non inserire lo ius soli nel calendario dei lavori
del mese. Qusta volta lo ius soli non appare fino al 20 ottobre, quando
a chiudere definitivamente i giochi sarà l’arrivo al Senato della legge
di stabilità. Un déjà-vu poi confermato anche dal voto dell’aula.
Un
ragionamento – quello del presidente dei senatori dem – che però non
convince le senatrici Loredana De Petris e Cecilia Guerra,
rispettivamente capogruppo di Si e Mdp. «Secondo i nostri calcoli solo
nel gruppo Misto ci sono una quindicina di voti e anche in Ap ce ne sono
altri disponibili» ragiona la prima, convinta che lo ius soli non crei
problemi solo al partito del ministro Alfano, ma anche all’interno dello
stesso Pd.
Ma il vero segnale che ormai non ci sia più niente da
fare arriva da Palazzo Chigi, dove Paolo Gentiloni continua a non
spendere una parola in difesa della legge. Vero è che ieri il premier si
trovava in Francia, a Lione, per un importante vertice con il
presidente Emmanuel Macron, ma è anche vero che le distanze non
rappresentano un problema e che volendo un segnale avrebbe potuto anche
darlo.
Il suo silenzio invece legittima e rafforza quanti si
oppongono al provvedimento per una pura questione di voti, contribuendo
perdipiù a dare l’idea di un governo «fai-da-te» nel quale ognuno si
muove ormai come vuole. Così dopo il «No» espresso martedì dal ministro
degli Esteri Alfano, ieri è arrivato anche quello della ministra della
Salute Beatrice Lorenzin per la quale è meglio rimandare tutto alla
prossima legislatura. Viceversa il titolare dei Trasporti Graziano
Delrio continua a chiedere un gesto di coraggio che salvi la legge.
Magari accettando il rischio di un voto di fiducia, come ha chiesto ieri
anche il presidente del Pd Matteo Orfini.
A chiedere al premier
di porre la fiducia sulla legge è anche il presidente della commissione
Diritti umani, Luigi Manconi. «Nel corso di questa legislatura è stata
chiesta per ben 61 volte, sulle più diverse questioni», ha spiegato ieri
il senatore. «Ora a sei mesi dalla fine della legislatura mi chiedo
perché mai non venga messa su un provvedimento ripetutamente definito
’irrinunaicabile’ dal governo, dal Pd e considerato ’giusto’ – bontà sua
– persino dal nostro erratico e ondivago ministro degli Esteri».