domenica 24 settembre 2017

il manifesto 24.9.17
Avanza il partito del non voto, reddito e lavoro fanno la differenza
La ricerca della Fondazione Bertelsmann. Dal 1998 alle elezioni federali del 2013 l’affluenza segna oltre 10 punti percentuali in meno: milioni di persone nel corso di un quindicennio si sono disconnesse dalla politica. Sono quelle che abitano nei quartieri con il reddito pro capite più basso e con il tasso di disoccupazione più alto, senza differenze fra Est e Ovest
di Jacopo Rosatelli

Nessuna suspense: stasera Angela Merkel sarà ancora saldamente cancelliera. Il nodo da sciogliere nelle prossime settimane sarà quello della coalizione, se con i socialdemocratici (Spd) o con l’inedita formula a tre con liberali (Fdp) e Verdi. Il vero interesse alla chiusura delle urne, come affermano tutti i media, starà nel misurare quanto pesante sarà il molto probabile arretramento della Spd e, soprattutto, quanto ampio il balzo in avanti della destra dell’Alternative für Deutschland (AfD).
C’è però anche un altro dato che andrà osservato attentamente, e che troppo spesso viene ignorato: quello della partecipazione al voto. È in quella cifra, infatti, che si cela una delle chiavi per interpretare cosa stia accadendo in una Repubblica federale che appare narcotizzata dalla sua cancelliera democristiana.
L’ascesa e poi il consolidarsi del dominio di Merkel, infatti, sono andati di pari passo con l’aumento dell’astensionismo. E, più precisamente, con l’aumento dell’astensionismo nei quartieri popolari delle aree urbane, come dimostrato da attente ricerche dalla Fondazione Bertelsmann, prestigioso think tank.
QUANDO LA SPD vinse le elezioni del 1998, interrompendo il lungo ciclo di governo del «cancelliere della riunificazione» Helmut Kohl, a recarsi alle urne fu l’82,2% degli aventi diritto. Sommando le percentuali ottenute dai partiti «a sinistra del centro» si otteneva il 52,7% dei voti espressi, i socialdemocratici venivano scelti da 20 milioni di tedeschi. La prima affermazione dell’attuale cancelliera, sette anni dopo, avvenne con un’affluenza del 77,7%: una caduta di partecipazione che cominciava a essere significativa, specchio di una disaffezione che allora colpiva entrambi i grossi partiti. La Spd si era inimicata parte del proprio elettorato operaio tradizionale con le famigerate riforme neoliberali della cosiddetta «Agenda 2010», e Merkel, al primo appuntamento da leader, fece una campagna elettorale disastrosa. La ex «ragazza di Kohl» divenne capo del governo solo per il rotto della cuffia, avendo avuto appena l’1% in più della Spd, e nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla sua capacità di tenuta.
NEL 2009, dopo quattro anni di grosse Koalition, il crollo dell’affluenza: il 70,8%, la più bassa nella storia della Repubblica federale tedesca. I democristiani vinsero, ma perdendo per strada moltissimi elettori, circa 2 milioni. Merkel rimase in sella solamente grazie al tracollo degli alleati-avversari socialdemocratici, che subirono un’emorragia di oltre 6 milioni di voti. Al governo, nel ruolo di partner minore, subentrò la Fdp, e una legislatura di opposizione consentì alla Spd di arrestare la caduta libera, ma poco di più. Le successive elezioni federali, le ultime celebratesi prima di oggi, sancirono per la prima volta chiaramente un trionfo politico di Merkel con lo sfondamento della barriera del 40% dei consensi espressi, ma si svolsero anch’esse nel segno dell’apatia: a votare andò appena il 71,5%. In termini assoluti, circa 18 milioni di schede per la Cdu-Csu e 11,2 milioni per la Spd. Se confrontata con quella del 1998, la partecipazione segna oltre 10 punti percentuali in meno: milioni di persone che nel corso di un quindicennio si sono disconnesse dalla politica dei partiti.
Chi sono? La Fondazione Bertlesmann lo ha mostrato nei suoi studi Prekäre Wahlen, «Elezioni precarie»: sono quelli che abitano nei quartieri con il reddito pro capite più basso e con il tasso di disoccupazione più alto, senza differenze fra Est e Ovest. Alcuni esempi tratti dalle analisi sulle scorse elezioni non lasciano spazio a dubbi. Nella zona più povera di Colonia alle urne andò il 42,5%, nel quartiere di Brema in cui la disoccupazione è al 23% esercitò il suo diritto di voto il 50,1%, a Lipsia a fronte del 17,8% di senza lavoro si ebbe un’affluenza del 46,7%. Per converso, nella circoscrizione di Düsseldorf che vanta solo il 2,3% di disoccupazione votò il 91,8%, in quella di Amburgo con l’1,4% di senza lavoro, ecco l’86,9% di partecipazione. Il «segreto» del successo della cancelliera Merkel e il problema dei partiti che le si oppongono da sinistra stanno anche in questi numeri.