il manifesto 23.9.17
Rosatellum: un aiuto a destra, un colpo a sinistra
di Massimo Villone
Tanto
tuonò. Ma poi piovve? Rimane da vedere, perché il quadro dei sì e dei
no al Rosatellum bis è variegato. Il relatore Fiano lancia proclami
ottimistici, ma il vasto consenso si riduce a poco più di Pd, FI, Lega, e
Alfano.
Nell’urna parlamentare incidenti e imprevisti non sono
certo impossibili. a assumiamo per ipotesi che la proposta venga
approvata, e si applichi in un contesto come oggi delineato dai
sondaggi: sostanzialmente tripolare, con frammenti aggiuntivi.
Vediamo a prima lettura qualche punto essenziale.
Partiamo dall’incentivo maggioritario: circa 36% di seggi uninominali (231 camera, 102 senato), 64% di listini proporzionali.
È
ben vero che scompare il premio di maggioranza, vero insulto alla
democrazia. Arriva a disonorevole sepoltura il mantra che deve
conoscersi il vincitore la sera del voto. Ma la torsione maggioritaria
rimane. Il collegio uninominale si vince con un voto in più rispetto
all’avversario (first past the post). La distribuzione territoriale dei
consensi è decisiva.
Per questo il sistema piace alla Lega, che è
sicura di avere un buon pacchetto di eletti nei collegi del Nord, come
era già con il Mattarellum. Le eventuali coalizioni di centrosinistra e
centrodestra competono più o meno alla pari nel resto del paese, e si
dividono gli altri seggi uninominali. M5S rimane a terra, potendo
probabilmente vincere solo in una manciata di collegi uninominali, sia
per la genetica debolezza nella selezione delle candidature, sia per la
dichiarata intenzione di non coalizzarsi con alcuno. La sinistra sparsa
non prende nemmeno un collegio.
La chiave di lettura principale
del sistema è dunque il rendimento delle forze politiche nella parte
uninominale, che in sistema multipolare non si divide per quota tra i
soggetti politici, ma avvantaggia quello prevalente nel paese. Qualsiasi
maggioritario geneticamente rafforza chi vince, e affossa chi perde. In
prospettiva, la proposta è particolarmente favorevole al centrodestra,
che parte con il vantaggio della forza leghista al nord nei seggi
uninominali. Mentre ha ragione M5S quando dice di riceverne un danno. È
così, a meno che uno tsunami di voto popolare sfondi per loro i cancelli
di palazzo Chigi.
Il secondo punto è la soglia di sbarramento: 3%
per le liste, e 10% per le coalizioni. Questo va bene al Pd, a FI, alla
Lega e Alfano. Mentre pone alla sinistra sparsa un dilemma. Correre
ognuno per sé, cercando di superare la soglia del 3% per arrivare con un
pacchetto di parlamentari con la propria casacca in parlamento, o dar
vita a una lista unica, o ancora formare una coalizione puntando a
superare la soglia del 10%? Le scelte solitarie vanno evitate.
Il
3% sarebbe calcolato sul 64% della parte proporzionale, e dunque una
lista che superasse appena la soglia potrebbe aspirare a una dozzina di
deputati: una pattuglia probabilmente irrilevante negli equilibri
parlamentari, e buona solo a sistemare qualche pezzo del gruppo
dirigente.
Troppo poco in sé, e ancor più per parlare al paese in
campagna elettorale. Mentre sarebbe massimizzato l’effetto perverso del
voto utile, sia da parte del Pd verso tutto ciò che rimane a sinistra di
un eventuale coalizione, sia nello scontro fratricida tra pezzi della
sinistra volti all’inseguimento della propria singola sopravvivenza.
Ed
è chiaro che – specularmente – il Pd cercherebbe appunto di attrarre in
coalizione qualche pezzo della sinistra sparsa più disponibile, per poi
scatenare la guerra totale contro tutto il resto. Invero, la proposta
sembra essere per il Pd conveniente più per spegnere ogni fuoco alla
propria sinistra, che nella competizione con il centrodestra.
La
strategia più efficace rimane allora quella di costruire un quarto polo
di sinistra unita abbastanza forte da essere – dopo il voto – un
interlocutore possibile, e anzi necessario, nei confronti parlamentari
sull’indirizzo di governo. E meglio sarebbe per questo avere un impianto
proporzionale del sistema elettorale.
Dunque, la battaglia
politica rimane essenziale, su questo e sui parlamentari nominati. Non
si può far conto sui troppo deboli argini posti dalla Corte
costituzionale, e tocca ai cittadini pensosi della salus reipublicae
scendere in campo.