sabato 16 settembre 2017

il manifesto 16.9.17
Una nottata per Carmelo Bene
Evento. Piergiorgio Giacchè ha organizzato il 21 settembre a Perugia una festa di non-compleanno
di Gianluca Pulsoni

Per Carmelo Bene, oggi, bisognerebbe coniare una parola che valga come «doppio» del termine ricordo, qualcosa che chi scrive, per ora, non sa trovare. Ma la domanda è comunque chiara: in che modo relazionarsi con la «vita di un’opera» così accesa che nemmeno l’azione di alcune forti forme di oblio di questi anni – la sua morte avvenuta nel 2002; i problemi ancora in corso legati all’eredità, con tutti gli effetti – è riuscita a spegnere?
Una possibile risposta a tutto questo potrebbe magari venire partecipando all’incontro-evento organizzato da Piergiorgio Giacchè a Perugia per il 21 settembre.
Si tratta di un omaggio molto particolare al genio di Carmelo Bene – almeno per luogo, giorno, ideazione – e che vedrà la testimonianza di voci che sono state fra quelle più vicine al salentino, per esempio quelle di Luisa Viglietti, sua ultima compagna, e Jean-Paul Manganaro, suo studioso e traduttore francese. Ma non solo.
Si tratta anche di un’occasione ideale per fare il punto su, diciamo, la «situazione-Bene»: le cose fondamentali da leggere e vedere (per chi volesse una introduzione seria al suo lavoro); quello che si potrebbe ancora discutere e fare (per chi volesse fare i conti con la sua e la propria ricerca).
Nessun Bene
Nessun Bene è il titolo dell’evento perugino a cura di Piergiorgio Giacchè, l’antropologo studioso e collaboratore di Carmelo Bene. Per chi non lo sapesse, questo titolo rimanda a quello dell’ultimo saggio che lo stesso Giacchè ha scritto sul teatro dell’autore di Nostra Signora dei Turchi, pubblicato sul sito di Doppiozero. Cioè: è lo stesso titolo. Come a suggerire una continuità tra testo e contesto, una necessità di insistere su alcuni temi e questioni.
Nell’invito – in circolazione – si cita lo stesso Bene, «Non esisto, dunque sono. Altrove. Qui», e si legge quanto segue: «È questo il motto e il motivo di una serata a lui dedicata nel mese in cui – se fosse esistito – avrebbe compiuto ottanta anni.» Poi si parla dell’occasione come di un non-compleanno e si definisce la forma dell’incontro-evento una cir/conferenza composta di diversi contributi – ci saranno attori e musicisti a fare la loro parte, a circondare il discorso di Giacchè (una ripresa del saggio citato) – in una sede che sarà la Chiesa di San Bevignate, e cioè «un luogo particolare come l’antica chiesa dei templari accanto al cimitero monumentale, in modo che quelli che esistono si possano sentire per una volta vicini anche a quelli che sono», come si legge – sempre – nell’invito.
Ora, in tutto questo, due sono le possibili considerazioni da fare: cosa si ascolterà e vedrà; il senso dell’incontro.
In merito al primo punto, si può dire – genericamente – che ci saranno «testimonianze immemoriali e frammenti di opere e peccati di omissione da parte di chi crede di averlo visto e ascoltato e amato» (citazione dall’invito; il riferimento in questione è, ovviamente, Bene). Più nello specifico, invece, si può per esempio anticipare del lavoro di Silvia Pasello (attrice e regista) e Ares Tavolazzi (musicista, ex AREA) – fra gli attori e musicisti convocati – i quali presenteranno in prima ed unica un loro saggio o studio. «Alla mancanza di Bene», come suggerisce Giacchè. In questo lavoro i due interpreteranno ed eseguiranno, a loro modo, parte di testi scelti, selezionati e ritradotti da Bene per il suo «Concerto mistico di fine millennio», una prestazione che avrebbe dovuto tenere negli ultimi giorni del 1999 a Foligno o Perugia, con musiche di Gaetano Giani Luporini, su testi di un percorso da San Francesco a Maria Maddalena de’ Pazzi, passando per Angela da Foligno e Juan de la Cruz (per lo spagnolo c’è stata la ritraduzione). Oppure si può citare Michele Bandini – altro attore convocato – il quale leggerà dei testi inediti di Manganaro e Viglietti.
In merito al secondo punto, invece, l’attenzione può soffermarsi su quei riferimenti al mese della nascita e al non-compleanno citati. Perché questo? Perché la suggestione di Giacchè è quella di caratterizzare, in questo caso – ma dovrebbe valere sempre – l’idea di un omaggio che si centra attorno alla necessità di fare i conti con il lascito di un genio aggirando la messa in scena di manifestazioni fondate su routine e calendario, concretizzazioni di quel principio della rappresentazione contro cui Bene si è sempre battuto.
Riscoprire un classico
Uno degli effetti che l’occasione di Perugia si spera possa provocare può sicuramente essere quello di dare uno stimolo a coloro che oggi vogliono davvero scoprire o riscoprire il lavoro di Bene. Non c’è più lui sulla scena e però ci sono i film, i video, le letture, i libri, i testi. Molto è reperibile, non tutto subito assimilabile ma il gioco, in questo caso, vale la candela. Per questa ragione, magari, l’incontro-evento a cura di Giacchè può essere il via per uno studio supportato da alcune letture ideali di introduzione. Per esempio, si può prendere per le mani l’edizione delle Opere, pubblicata da Bompiani, e mentre si sfogliano e si leggono i romanzi, oppure le scritture teatrali, si potrebbe dare uno sguardo a quanto scriveva sul giovane Bene, a suo tempo, un genio come Ennio Flaiano. Da qui poi si potrebbe cercare in biblioteca o in rete quel capolavoro di libro critico che è Carmelo Bene: il circuito barocco, a cura di quello studioso eccezionale che fu Maurizio Grande. Una lettura per capire quanto il cinema del nostro sia, ancora, un mondo a parte. E poi, volendo, si potrebbe finire con la lettura della monografia di Giacchè, Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale. Ma in questo caso il consiglio è di prendere la seconda edizione, arricchita di un ultimo capitolo scritto postumo, e che delinea la ricerca de «l’ultimo Bene» – tra le lezioni di teatro, i Quattro momenti su tutto il nulla e la lettura de La figlia di Jorio (per citare tre gemme) – come nessun’altro.
L’altro possibile effetto che l’occasione di Perugia potrebbe offrire è quello di riprendere il senso della ricerca di Bene. Ne abbiamo davvero capito l’importanza? A ben guardare solo in minima parte. E forse solo nel teatro, dove c’è stata una assimilazione di certe sue conquiste da parte di alcune eccezioni. Ma non basta. Bisogna andare avanti. Quello che ha fornito Bene – se mai ci fosse un qualcosa in grado di racchiudere e sintetizzare tutte le sue scoperte – sono, se si vuole, i mezzi e le possibilità per sabotare continuamente la forma, il linguaggio, l’espressione: come tre modi di dire, da sempre, l’istituzione. Per arrivare alla «ricerca impossibile»: a non fare arte che sia rappresentazione e quindi a non rappresentare più l’arte. Un discorso che per forza di cose ha ricadute politiche. E se poi questo, in Bene, lo si vede più come una tentazione e non un compimento, ciò non vuol dire nulla. Come Nietzsche secondo Giorgio Colli, quello che conta è «l’immagine» che ci ha lasciato, l’immagine dell’uomo non piegato dal mondo. È la sola chance.