il manifesto 15,9,17
Manconi (Campo progressista): «Per un centrosinistra, il rapporto con il Pd è ineludibile»
Alleanze.
Il senatore Pd vicino a Pisapia: Giuliano unisce, per governare non
basta il 6 per cento. Art.1 sembra d’accordo. E ora nessun ricatto al
governo Gentiloni
di Daniela Preziosi
Luigi Manconi (Campo progressista, ndr) Pisapia ha davvero trovato una strada comune con Mdp?
Penso
e spero di sì. Certo, non tutti i nodi sono sciolti. Sopravvivono
vischiosità e quello spirito di scissione che sembra una pulsione
irriducibile della cultura di sinistra. Ma stavolta possiamo farcela.
La possibilità di alleanza con il Pd è chiusa per sempre?
Non
si tratta di questo. Nella riunione di martedì sono state condivise tre
condizioni: quelle che definiscono l’identità di Campo progressista e
che possono costituire il tessuto connettivo del rapporto con Mdp. La
prima è il riconoscimento della leadership di Pisapia, basata
innanzitutto sulla sua indiscutibile capacità di unire, aggregare e
federare. Lo dimostra il fatto di aver guidato una grande città con la
più ampia coalizione; e che la sua iniziativa non nasce da una scissione
ma dal suo opposto: dalla volontà di superare la frammentazione. La
seconda condizione è che si lavori tutti per il centrosinistra. Non
spetta certo a noi dimettere un segretario, Renzi, eletto con una
procedura democratica come le primarie e il rapporto con il Pd – pur se
ora non saprei dire in quale forma – è una condizione ineludibile. Non è
questione ideologica, bensì aritmetica: per chi voglia battere le
destre vecchie e nuove (M5S compreso) e arrivare a governare, il Pd è un
interlocutore essenziale. Si può decidere di investire tutte le energie
in uno sforzo titanico per raggiungere il quorum e fare un partito del
6-7 per cento: oppure ci si può confrontare conflittualmente col Pd per
condizionarne il programma. È un’alternativa secca, che non consente
altre soluzioni. La terza condizione riguarda la fase: oggi è interesse
di tutti, in primo luogo degli strati meno tutelati della società,
arrivare a fine legislatura. Dunque col governo Gentiloni si deve
discutere e anche confliggere, ma guai a esercitare forme più o meno
oblique di ricatto. Questa è la sostanza della nostra proposta. Mdp
sembra averla accolta. E chiunque voglia lavorare con noi può farlo: a
partire da queste tre ragionevolissime condizioni.
Ma lei è del Pd. Resta nel Pd?
Fino
a quando le notevoli tensioni con la linea di maggioranza non saranno
più sostenibili. Ma in questi anni di legislatura sono stati sempre meno
quanti mi chiedevano come mai rimanessi “ancora nel Pd”. Intanto il Pd
mi ha eletto e poi non ho trovato fuori da quel partito sedi più utili
al fine di attuare la mia politica. E non credo che sarebbe stato meglio
rimanere fuori dal parlamento piuttosto che tentare di fare lì, in
quella sede, ciò che ho provato a fare.
Dite che Pisapia è il
leader del vostro movimento. Ma una leadership può derivare da un gruppo
di ‘illuminati’ che conferiscono un ruolo?
Con tempi più lunghi i
meccanismi di formazione della leadership sarebbero stati diversi. Ma,
ripeto, il ruolo di Pisapia ha una genesi in qualche modo naturale.
Tutto, in lui, rivela una rara capacità di mediare e unificare. Lo
conosco da più di trent’anni e non ho mai visto uno dotato di quella
capacità di stare al tavolo delle trattative, senza mai deflettere dai
punti essenziali, e sfinire l’interlocutore per arrivare a persuaderlo.
Una dialettica garbata e inesorabile, cortese e tenacissima, che non
prevede mai l’umiliazione della controparte. Ma il suo convincimento.
Questo metodo non viene capito da tanti. Ma l’idea che la leadership per
dirsi tale debba essere almeno un po’ autoritaria e prepotente non è
una legge della scienza politica. È solo sintomo di pessimo carattere e
acidità di stomaco.
La vostra ispirazione è di sinistra o di centrosinistra?
È
di centrosinistra ma, in termini statistici, è di sinistracentro. Ma
anche questa rischia di ridursi a una disputa nominalistica.
Lei
si occupa da sempre di temi che uniscono la sinistra (e non solo) sui
grandi valori, i diritti. L’alleanza per le politiche quale perimetro
politico dovrebbe avere a sinistra?
Penso che quei temi, lungi
dall’unire la sinistra, possano dividerla: com’è il caso
dell’immigrazione e del garantismo. Insomma, qualunque sia la formula
che si potrà realizzare – alleanza, coalizione, programma comune – ciò
che ci attende è comunque una vita spericolata. Io mi batto per gli
obiettivi in cui credo ma non mi allontano portandomi via il pallone se
vengo sconfitto. Ribadisco, tuttavia, che l’aritmetica rimane
essenziale. Se voglio provare a vincere non posso disinteressarmi del Pd
e della sua sorte.