Il Fatto 9.9.17
Pisapia: il nulla, però presentabile
di Daniela Ranieri
Uno
straniero che leggesse Repubblica non potrebbe non farsi l’idea che in
Italia abbiamo un Obama incompreso, un eroe dem che l’opinione pubblica
deteriorata dal populismo non sa riconoscere e la politica tiene
ingiustamente al confino. Un misto tra Mandela, Kennedy e Willy Brandt,
senza l’estremismo di un Corbyn ma lontano dal moderatismo di un Tony
Blair e in ogni caso assolutamente alternativo a Renzi, tanto da
proporgli un giorno sì e uno no, e almeno sette volte dal 5 dicembre
scorso, di mettersi insieme nel chimerico Campo progressista.
Stiamo
parlando di Giuliano Pisapia, incidentalmente avvocato dell’editore di
Repubblica in processi importanti e capace ex sindaco di Milano. Di
Pisapia negli ultimi mesi si è saputo che è sicuramente contrario a
un’alleanza con Alfano in Sicilia, cosa “assolutamente innaturale”, come
l’accoppiamento tra un cavallo e una scimmia. Anzi no: talmente
realista nel suo idealismo da contemplare persino di sostenere il
candidato di Renzi e Alfano, ma non quello della sinistra di Mdp (a cui
ha proposto di mettersi “Insieme”), purché in un’ottica di “unità del
centrosinistra”. Mah. Siccome noi siamo prevenuti, ci siamo affidati
alla lettura del fenomeno Pisapia data da Paolo Mieli sul Corriere:
Pisapia “non è un attore adatto alla commedia politica così come va in
scena di questi tempi”, infatti cambia idea tre volte al giorno invece
che due come fanno i politicanti, e poi “ha un passato di garantista che
lo rende antipatico a molti suoi futuri compagni d’avventura”,
presumibilmente a Renzi, capo di un partito con 127 indagati, amicissimo
di un ministro indagato e figlio di un padre indagato, e ad Alfano, sul
cui partito di probi pietosamente taciamo. Ma, soprattutto, Pisapia
secondo Mieli “è tormentato dai dubbi delle persone intelligenti, dalle
incertezze e dai ripensamenti di chi non è mai stato un politico di
professione”.
Che uno in politica debba portare dubbi, incertezze e
ripensamenti invece che proposte, progetti e soluzioni è sintomatico di
questa epoca decadente. Nessuno obbliga Pisapia a fare il politico: se
non se la sente, che si prenda un anno sabbatico per leggere l’opera
omnia di Recalcati e poi ci faccia sapere perché dovremmo votarlo.
Notevole invece l’accenno ai “politici di professione” che, al contrario
di Pisapia, mirano a distruggere quel centrosinistra che Renzi, come
tutti sanno, stava faticosamente ricostruendo. In 4 anni, il tempo che
ci ha messo Michelangelo a dipingere la volta della Cappella Sistina,
Renzi ha disintegrato il Pd, i suoi iscritti, i suoi elettori, il suo
giornale e le sue feste. E con chi vuole ricostruire il centrosinistra,
Pisapia? Con Renzi.
Saremo strani noi, ma in Pisapia vediamo
l’incarnazione dello sbando, l’epitome della inconcludenza, della
balbuzie, del cinismo e del vuoto valoriale che ha investito il Pd e i
suoi gangli finitimi, compreso quel girotondismo arancione elitario da
zona C di Milano che ha contraddistinto la bolla-Pisapia nella sua
stagione d’oro. Da quando Renzi ha perso, e uno spiraglio di luce s’è
visto balenare dalla momentanea eclissi del Re Sole, Pisapia, che – lo
ripetiamo per liturgica osservanza al politicamente corretto – è persona
perbene, ha parlato solo di alleanze e accordi, ha messo veti che egli
stesso ha infranto poche ore dopo, ha proposto a questo e quello di
“federare”, di “fare da mastice” tra la sua purezza adamantina e il
briccone Renzi (ultimo a Prodi, che ha elegantemente sorvolato). Per
favore qualcuno ci spieghi esattamente chi e cosa rappresenta, Pisapia.
Non
stiamo parlando di meri serbatoi elettorali (fosse per questo, Alfano
avrebbe già da tempo dovuto aprirsi un chiringuito a Agrigento), ma di
quell’armamentario che tanto piace(va) ai giornali progressisti: popolo,
ideologie, valori, ideali. In tv, interrogato sui progetti per il
futuro, Pisapia ha farfugliato di “reti locali”, di “energie giovani”,
di “sguardo a sinistra”… Il nulla. A noi pare ondivago, non conciliante;
opportunista, non inclusivo. Gli va bene Micari come gli andrebbe bene
Fava non per spirito costruttivo, ma a seconda dello spazio che potrebbe
crearsi affinché lui, insieme alla nutrita squadra composta da Tabacci e
da un certo Smeriglio, possa infilarvicisi con più profitto. Per chi,
non si sa. Non sappiamo come la pensi sui 7 milioni di italiani sotto la
soglia di povertà, sull’immigrazione, sul Jobs Act; se, nel caso Renzi,
reimbarcando i suoi servi licenziati, vincesse e si mettesse di nuovo
in testa di far cambiare la Costituzione a un’avvocatina di Arezzo,
Pisapia voterebbe di nuovo Sì, o se l’aver abbracciato seppure per pochi
secondi Mdp gli ha fatto cambiare idea sulle doti di statisti dei
miracolati toscani.
Il pisapismo per ora è una scoria trascurabile
del renzismo: la versione presentabile nelle librerie con caffetteria
vegana-biologica di un nulla senza popolo.
di Daniela Ranieri