Il Fatto 6.9.17
Tagliare i vitalizi è costituzionale
di Nicola Ferri
Dovrebbe
iniziare la prossima settimana in commissione Affari costituzionali del
Senato (il condizionale è d’obbligo) l’esame del disegno di legge S.
2888, approvato dalla Camera il 26 luglio. Il primo articolo,
“Abolizione degli assegni vitalizi”, precisa che la finalità della legge
è “rafforzare il coordinamento della finanza pubblica e di contrastare
la disparità di criteri e di trattamenti previdenziali nel rispetto del
principio costituzionale di eguaglianza tra i cittadini”. Per
comprendere la portata innovativa del disegno di legge sarà utile
ricostruire il contesto giuridico-costituzionale in cui i vitalizi vanno
inquadrati, anche alla luce delle obiezioni mosse al disegno di legge
nella discussione alla Camera.
Il sistema previdenziale che si
intende sostituire ai vitalizi equiparando il trattamento pensionistico
degli ex parlamentari a quello che dal 2012 estende ai parlamentari in
carica il sistema contributivo previsto per tutti i lavoratori italiani,
compresa la rivalutazione annuale, ben può essere introdotto per legge e
non necessariamente mediante i Regolamenti interni delle Camere.
Se
l’indennità parlamentare è stabilita per legge come prevede la
Costituzione (art. 69) non si vede perché la previdenza dei
parlamentari, corollario del loro trattamento economico, non possa
essere disciplinata anch’essa mediante lo strumento legislativo.
Come
ha stabilito la Corte costituzionale, gli assegni vitalizi dei
parlamentari, anche se presentano “in parte aspetti riconducibili al
modello pensionistico e in parte profili tipici del regime delle
assicurazioni private… la loro diversità di natura e di regime… li
distingue dalle pensioni ordinarie spettanti ai pubblici dipendenti”.
Sulla stessa linea la Corte di Cassazione per la quale l’assegno
vitalizio dell’ex parlamentare non è riconducibile al trattamento
pensionistico ordinario, essendo piuttosto assimilabile al regime delle
assicurazioni private.
L’obiezione secondo cui i vitalizi
sarebbero intangibili in quanto “diritti acquisiti” è priva di
fondamento: tale espressione designa i diritti di natura patrimoniale
maturati e definiti nel corso del rapporto giuridico e che non possono
più essere rimessi in discussione da una nuova legge o da un nuovo
contratto collettivo. Se fosse approvata la nuova legge, non per questo
si potrebbe richiedere agli ex parlamentari di restituire le mensilità
loro erogate nei 10 anni precedenti in forza della normativa del 1954.
Il
principio della salvaguardia dei diritti acquisiti spiega la sua
efficacia soprattutto nei rapporti di lavoro e della previdenza
pensionistica. Per i trattamenti previdenziali (categoria in cui
rientrano i vitalizi quali forme di previdenza assicurativa), come ha
stabilito la Corte costituzionale con la sentenza 349/ 1985: “Se è vero
che in linea di principio deve ritenersi ammissibile un intervento
legislativo che… modifichi l’ordinamento pubblicistico delle pensioni,
non può ammettersi che tale intervento sia assolutamente discrezionale
per cui non è consentita una modifica legislativa che… peggiorasse senza
una inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva
un trattamento pensionistico in precedenza spettante… ma una siffatta
irrazionale incidenza va esclusa (quando) il sacrificio è determinato,
secondo una valutazione legislativa che non può ritenersi irrazionale,
dalla necessità di evitare, in un momento di grave crisi economica,
notevoli disparità fra le diverse categorie di pensionati, con le
conseguenti tensioni sociali”. Finalità che sono esattamente quelle
della nuova legge.
Ugualmente infondata è l’ulteriore obiezione
secondo cui la riforma contrasterebbe con il principio di
irretroattività. Il principio vale in assoluto soltanto per le leggi
penali e per le leggi tributarie. Non esiste un divieto generale di
leggi retroattive, purché – afferma la Corte costituzionale – esse siano
adeguatamente motivate “nel rispetto del principio generale di
ragionevolezza e di uguaglianza”, ispirate “al fine di realizzare una
uniformità di trattamento attraverso la sistematicità dell’intervento
innovatore”.
La nuova legge soppressiva dei vitalizi non
retroagisce sui preesistenti rapporti ma su quelli tuttora in atto (in
base ai quali gli ex parlamentari continuano a percepire le quote
mensili dei vitalizi). Trattandosi di rapporti previdenziali, la
disciplina sopravvenuta è applicabile ai fatti, agli status e alle
situazioni di fatto esistenti alla data della sua entrata in vigore,
ovviamente fatti salvi i rapporti giuridici pregressi, i cui effetti non
possono più essere disconosciuti.