sabato 23 settembre 2017

Il Fatto 23.9.17
Per insabbiare Consip mirano a Woodcock
di Angelo Cannatà

Manzoni sintetizza il clima di un’epoca con la frase “Questo matrimonio non s’ha da fare”: dice di un secolo, il Seicento, in cui la sopraffazione era la regola. Oggi? La storia d’Italia degli ultimi anni è storia d’intercettazioni che non si devono ascoltare. È accaduto con la trattativa Stato-mafia e le telefonate di Mancino all’ex presidente della Repubblica Napolitano; oggi succede con l’audio di Tiziano Renzi e del figlio Matteo. L’opinione pubblica non deve sapere. Anche questo dice il clima di un’epoca. Carte e audio di babbo Renzi sono negli uffici della Procura di Napoli. Finiranno nelle mani di chi è pronto a insabbiarli? Alcuni lavorano a questo obiettivo; è una partita a scacchi il cui esito potrebbe essere lo scacco matto alla giustizia e alla ricerca della verità.
Documenti importanti. Deciderà Woodcock quando depositarli… sempre che sia ancora a Napoli vista la tempesta scatenatagli addosso. È il punto decisivo. Il magistrato è nel mirino dei giornali renziani che vogliono delegittimarlo e della prima Commissione del Csm presieduta dall’avvocato Giuseppe Fanfani, il Nipote come lo chiamano nella sua città. Non si tratta qui di mettere l’accento su un certo clima che si respira ad Arezzo – città del piduista Gelli, di cui Fanfani fu sindaco (2006-2014) –, non m’interessa scavare nei meandri putridi. Dico, perché la ragione mi porta in questa direzione, che i conti non tornano – non tornano per niente – se è proprio l’amico, il renziano Fanfani, l’uomo del Pd nel Csm, già legale di papà Boschi, a presiedere la Commissione che s’occupa di Woodcock, pm che indaga su papà Renzi. Ma che gioco è mai questo? Conflitto d’interessi? Se vogliamo essere eleganti diciamo pure così; in realtà è una porcata, un pestaggio ai danni di un pm che rompe le scatole ai potenti. Bisogna screditare Woodcock. È questo che si legge tra le righe di una vicenda torbida (Consip) i cui veri responsabili vengono coperti, ponendo sotto i riflettori – è grande la colpa dei giornaloni – chi ha aperto l’indagine. Sono stati fatti errori, certo, alcuni riconosciuti da Scafarto, altri forse verranno fuori, ma è evidente la spasmodica volontà di punire colui che l’inchiesta ha osato avviarla: perché il caso Consip è il marcio assoluto di questi anni, se è vero che parte del ceto politico, ministri, apparati dello Stato, pezzi di classe dirigente, affaristi, generali dei carabinieri – a diverso titolo – hanno partecipato, con fughe di notizie, inganni, mazzette, a una storia di soldi e potere intorno al più grande appalto d’Europa. L’uomo di cui la politica si serve per “risolvere la grana Woodcock”, è l’avvocato Fanfani, oggi sulla difensiva accusato di aver passato ad arte ai giornali renziani il verbale della procuratrice Lucia Musti. Naturalmente nega. Vedremo.
Sembra sia persona colta appassionata di Dante. Può la cultura mettersi al servizio della politica? Sono i corrotti e i collusi la rovina del Paese: “Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di province, ma bordello!” Ecco, non rivolga gli occhi altrove il presidente della prima Commissione del Csm, il marcio non è Woodcock (è pronta la richiesta d’archiviazione dei magistrati romani) ma nei fatti su cui indaga; rilegga Dante, egregio Fanfani: “E se licito m’è, o sommo Giove… son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?”. Io voglio sperare che i suoi occhi, avvocato, siano “giusti” e non guardino da un’altra parte; che vogliano davvero vedere e non occultare i fatti per fedeltà a un partito, una corrente, una cordata. Marco Lillo in Di Padre in figlio “mostra e documenta”. Negare l’evidenza significa dar ragione ancora a Indro Montanelli: proponeva l’abrogazione della quota di membri del Csm nominata dai politici. Il motivo: “Impedire che la politica controlli e blocchi la magistratura in modo indiretto e dalla postazione più alta”.