Il Fatto 19.9.17
Il limbo dei giovani tedeschi, infelici nel Paese più ricco
C’è
un Paese in cui filosofi, imprenditori, docenti, attori e principesse, e
financo la presidente del Parlamento, stampano sui giornali un
Manifesto in 10 punti per esortare i partiti a rinnovare e rinsaldare il
patto tra le generazioni, che essi giudicano fortemente in pericolo.
Non è però l’Italia, bensì la Germania, dove il sociologo Oliver
Nachtwey ha riassunto il disagio dei giovani, pressati tra “Mini-jobs”
sottopagati, sostanziale precarietà e un crescente senso d’impotenza a
fronte della loro alta qualificazione, con la formula della “scala
mobile sociale”. Non più dunque un ascensore, ma una serie di scale che,
come in un grande magazzino, a ogni pianerottolo comportano nuove
scelte e nuovi pericoli, anzitutto quello di imboccare la rampa
sbagliata e di finire così – inesorabilmente e senza poter tornare
indietro – al piano di sotto: la “società della discesa”.
Visto da
fuori, sembra un paradosso: un Paese che “sta bene” (così la
cancelliera: “Deutschland geht es gut”) produce una gioventù che si
dichiara largamente insoddisfatta. Eppure il vero paradosso, come rileva
Zeit di giovedì, è che tale gioventù – a differenza di quanto avviene
in Italia, in Francia o in Spagna – vota ancora in maggioranza proprio
per Angela Merkel, ovvero non incanala il proprio disagio verso forze
d’alternativa.
Secondo alcuni, ciò dipende dal fatto che le ultime
generazioni si sono affacciate alla politica con le riforme del
socialdemocratico Gerhard Schröder, che hanno creato precisamente le
condizioni di cui ora soffrono (il mercato del lavoro “liquido”, i fondi
pensione, gli sgravi fiscali ai ricchi), spazzando via la sola idea che
lo Stato (anche uno Stato di sinistra) possa creare qualcosa di buono,
per esempio il welfare degli anni 80. In tal senso, la fine politica di
Martin Schulz, che domenica rischia di non superare il 25%, è stata la
decisione di farsi incoronare candidato, nel congresso di marzo, proprio
dal medesimo Schröder che ha desertificato sia la credibilità della Spd
come portatrice di valori nuovi, sia il suo storico ruolo di fucina di
leader (di qui le grigie candidature, nelle ultime tornate, di
Steinmeier e Steinbrück, cui ora s’aggiunge una terza, timida S). E
forse la pietra tombale a una possibile alternativa di governo è stata
la scelta di escludere a priori (quando i sondaggi ancora parevano
confortarla) l’idea di una coalizione con la Linke, nella malcelata
speranza che le posizioni della sua leader Sahra Wagenknecht, ritenute
massimaliste (né più né meno: un modello di sviluppo diverso dal
neocapitalismo), venissero ammorbidite dai compagni di partito più
inclini a virate centriste.
La gioventù tedesca va a teatro, e
alla Schaubühne di Berlino vede il ritratto impietoso della xenofobia
strisciante e del consumismo disperato nelle pièce di Falk Richter o di
Milo Rau. La gioventù tedesca va a messa, e da Hildesheim a Lubecca
trova nelle chiese installazioni di artisti che parlano del dramma dei
migranti (l’ultima è arrivata fino all’Oude Kerk della vicina
Amsterdam).
La gioventù tedesca frequenta dibattiti e mostre che
affrontano senza sconti le pagine buie, dall’abuso di Lutero nel
nazionalsocialismo alla triste storia del colonialismo germanico, dalle
radici sociali del terrorismo della Raf agli echi malposti della
grandeur prussiana. La gioventù tedesca viene informata dalla tv circa
la presenza strisciante di gruppi neonazisti nelle forze dell’ordine,
circa il paventato aumento delle spese militari (anche qui in piena
consonanza coi vicini olandesi), circa il bieco saccheggio delle terre
africane da parte di multinazionali spacciate per “cooperazione”. E su
questi temi, dal fallimento del modello delle start-up allo sfruttamento
dei Paesi poveri da parte dell’Occidente, la gioventù tedesca compra in
libreria saggi sempre nuovi, lucidi e non politicizzati.
Ma tutto
questo patrimonio aperto e condiviso di coscienza civile,
internazionale ed ecologista, non si traduce in una plausibile proposta
politica. Secondo un’analisi di Unicepta Research, i temi che più hanno
appassionato i tedeschi nell’ultimo mese sono i migranti, i mutamenti
climatici, la criminalità e lo scandalo del diesel. Su questi argomenti,
tuttavia, l’unica alternativa di cui si parla non è quella dei Verdi o
della Linke, ma quella eponima – destinata a entrare in Parlamento –
dell’Alternative für Deutschland, un partito che nello spostarsi sempre
più a destra ha ripetutamente cambiato pelle e leader, fino all’attuale
Alice Weidel, una signora che vive in Svizzera con la compagna ma
predica il ritorno alla famiglia tradizionale, che sbandiera un
“Manifesto cristiano per la Germania”, e che forse (la Welt am Sonntag
insiste sulla veridicità dell’email incriminata) nel 2013 scriveva che
l’inondazione di Arabi, sinti e rom è parte di un disegno teso a tenere
la Germania in uno stato di minorità, perché “questi porci (i governanti
della Cdu) non sono che marionette delle potenze vincitrici della
Seconda guerra mondiale e hanno il compito di ridimensionare il nostro
popolo”. E così, ai cortei contro il G20 di Amburgo, duramente repressi,
si contrappongono le regolari adunate di Pegida a Dresda, il sempre più
popolare sito EpochTimes (che ripropone in modo variamente tendenzioso
ogni nota d’agenzia relativa ai migranti), e i duri fischi che nelle
città dell’antica Ddr accompagnano regolarmente le uscite dei politici
di governo (Sigmar Gabriel, il ministro della Giustizia Heiko Maas,
financo la stessa Merkel).
Se l’AfD supererà la soglia del 10 per
cento (ciò che molti temono, constatando la presa della retorica
populista sulla rabbia strisciante troppo a lungo repressa dalla
letargocrazia merkeliana) non solo l’asse del dibattito pubblico si
sposterà più a destra, secondo un modello già visto in Francia e che ha
creato in quel Paese terremoti politici e culturali dall’esito tuttora
incerto; soprattutto, sarà a rischio il deal che secondo molti il
presidente francese Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno in mente per
l’autunno: il ministro francese Bruno Le Maire a capo dell’Eurogruppo,
il banchiere tedesco Jens Weidmann a capo della Banca centrale europea e
la trasformazione del Meccanismo europeo di Stabilità (o “Fondo
salva-Stati”) in un Fondo comune trasparente gestito “democraticamente”,
in grado di prestare danaro ai Paesi in difficoltà e di iniziare a
sanare, in modo non tecnocratico ma condiviso, gli squilibri dell’Unione
europea. Un rilancio dell’integrazione continentale che richiederà
sicuramente delle rinegoziazioni degli accordi europei, non semplici da
far digerire ai Paesi del gruppo di Visegrad; una prospettiva complicata
da imporre allo stesso Partito liberale tedesco (anche per questo, una
nuova Grande Coalizione a Berlino potrebbe essere la soluzione più
semplice; o in alternativa un governo Cdu-Verdi), ma forse troppo
rischiosa se l’unica novità delle urne sarà la risposta al disagio
tramite un rigurgito di nazionalismo.