sabato 16 settembre 2017

Il Fatto 16.9.17
Ministri e capigruppo dem evocano ‘golpe’ e ‘complotti’
Franceschini, Zanda, Orfini e dirigenti sparsi reagiscono alle rivelazioni su Scafarto e De Caprio gridando all’eversione e al “disegno anti-Pd”. Il Guardasigilli sta zitto: “No comment”
Ministri e capigruppo dem evocano ‘golpe’ e ‘complotti’
di Marco Palombi

Lungamente evocata dalla campagna estiva di Matteo Renzi sul caso Consip – divenuto nel suo racconto “caso Scafarto” con tanti saluti alle mazzette e alla fuga di notizie che coinvolge Luca Lotti – e dai “vedrete, vedrete” sussurrati dai renziani nelle ultime settimane, arrivano nuove rivelazioni sul comportamento del capitano del Noe e del suo superiore Sergio De Caprio, il famoso “Ultimo”, nei confronti dell’ex premier. E arriva, contemporaneamente, l’ora in cui a fare il lavoro sporco nel Pd non tocca più solamente ai pretoriani di Rignano sull’Arno, ma pure a quelli di complemento, non sempre accreditati di intenzioni benevole nei confronti del Caro Leader.
Il primo a offrire il petto al fuoco per l’onore di Matteo è Dario Franceschini, ormai considerato un mezzo traditore al Nazareno, ministro della Repubblica: “La vicenda giudiziaria che coinvolge Scafarto assume ogni giorno di più caratteri di gravità inaudita. Stiamo imparando dai giornali che c’è stato un tentativo, con ogni mezzo, di coinvolgere il premier. Una cosa è il dibattito interno o esterno al Pd, una cosa lo scontro tra partiti o gli attacchi a Renzi, ma questo è un fatto di una gravità istituzionale enorme, e azioni e parole di chiarezza e solidarietà dovrebbero arrivare da tutti, avversari compresi”. Ci pensa il capogruppo Pd al Senato, Luigi Zanda Loi, figlio di un famoso capo della polizia e compagno di corrente di Franceschini, a evocare il golpe come un berlusconiano qualunque: “Se quanto stiamo apprendendo dovesse risultare vero dovremmo concludere che negli anni passati c’è stato in Italia un vero e proprio complotto, che ha visto coinvolti organi dello Stato, volto a rovesciare istituzioni democraticamente indicate dal Parlamento della Repubblica. In altri tempi si sarebbe parlato di eversione, se non di peggio”.
Il resto dei comunicati stampa, delle dichiarazioni tv, dei tweet e quant’altro è la solita batteria dei renziani tanto in purezza che di complemento. Tra questi va segnalato, almeno, il presidente del Pd Matteo Orfini: “Siamo di fronte a pezzi di apparati dello Stato che hanno lavorato per fabbricare prove false per colpire il presidente del Consiglio e interferire con la dinamica democratica. Qualora tutto questo fosse confermato, ci sarebbe un termine tecnico per definirlo: eversione”.
Poi, immancabile, arriva il momento dei poteri forti e dei salotti: questa storia “in qualunque paese al mondo avrebbe la rilevanza del Watergate. C’era un disegno per liquidare il Pd ed è fallito. Un pezzo dei poteri di questo Paese evidentemente non ha mai digerito una classe dirigente che non frequentava i soliti salotti” (il frate trappista Renzi e l’eremita Orfini in salotto ci stanno solo per giocare alla playstation e giammai hanno frequentato un imprenditore, un banchiere o un boiardo di Stato). Persino il ministro della Difesa Roberta Pinotti chiede all’Arma di occuparsi delle troppe esternazioni del colonnello Ultimo.
Uno dei pochi che non partecipa al coro del “golpe” è Andrea Orlando, ministro della Giustizia: “Per ragioni istituzionali, non è possibile e opportuno che io intervenga. Trattandosi di una vicenda sulla quale è aperta un’inchiesta, non posso in alcun modo commentare”. Molto giusto e molto corretto, ma va almeno notato che il Guardasigilli, quando il “caso Scafarto” esplose non esitò a definire “vicenda inquietante” quella dell’errore di trascrizione del capitano dei carabinieri scoperto dalla Procura di Roma, né a inviare gli ispettori a Napoli dopo la pubblicazione sul nostro giornale dell’intercettazione tra Matteo Renzi e suo padre Tiziano. Stavolta, invece, Orlando tace, almeno lui, ed è un silenzio che parla rispetto alle grida di colleghi e compagni di partito.