martedì 12 settembre 2017

Il Fatto 12.9.17
Caso Shalabayeva, ecco le divergenze tra i superpoliziotti
Accusati di sequestro - Oggi udienza preliminare. Cortese a verbale: “Non mi occupai dell’espulsione”. Improta: “Trattenerla era dovuto”
Caso Shalabayeva, ecco le divergenze tra i superpoliziotti
di Antonio Massari

Nessun ruolo nell’espulsione di Alma Shalabayeva. L’attuale questore di Palermo, Renato Cortese, che all’epoca dei fatti guidava la Squadra Mobile di Roma, rispedisce al mittente il contenuto di un appunto secondo il quale, il 29 maggio 2013, il suo ufficio si sarebbe occupato del trattenimento e dell’espulsione della moglie di Muhtar Ablyazov, il dissidente kazako oggi rifugiato in Francia. Riepiloghiamo. Durante la perquisizione del 29 maggio 2013, nella sua villa a Casal Palocco a Roma, la donna esibisce un passaporto centrafricano considerato falso. Viene trasferita in un Centro d’identificazione ed espulsione e, di lì a poco, dopo un’udienza dinanzi al giudice di pace, accompagnata su un aereo messo a disposizione dei kazaki per essere espulsa. Espulsione poi revocata. Alla vigilia dell’udienza preliminare sul caso Shalabayeva, che stamattina a Perugia vede Cortese e il questore di Rimini Maurizio Improta, allora capo dell’Ufficio immigrazione di Roma, accusati di sequestro di persona, il Fatto rivela ulteriori dettagli delle indagini.
“Prendo atto – dice Cortese il 9 gennaio al procuratore aggiunto Donatella Duchini e al pm Massimo Casucci – che risulta un appunto dell’Ufficio Immigrazione al Cie, nel quale si dà atto della necessità del trattenimento della signora Shalabayeva, d’intesa con la Squadra Mobile e la Digos”. E precisa: “Non ho mai interloquito con il dottor Improta sul trattenimento della signora Shalabayeva, né ho mai palesato la necessità del trattenimento”. Come dire: l’appunto non rispecchia la realtà. Almeno in apparenza, considerato che Improta, nei suoi tre interrogatori, ha sempre sostenuto di aver tenuto Cortese al corrente di tutto, le due versioni sembrano contraddirsi. A meno che Cortese – che in altri punti dell’interrogatorio spiega di aver parlato con Improta di alcuni passaggi dell’espulsione – non si riferisca solo a comunicazioni formali. In un altro passaggio infatti dichiara: “Il 31 maggio 2013 … ricevetti una chiamata dal Procuratore Giuseppe Pignatone, che mi chiese se la Questura stava procedendo a una espulsione. Io ho inteso immediatamente che si stava riferendo all’espulsione della Shalabayeva, avendo parlato della vicenda ripetutamente con Improta…”.
Se si tratti di una divergenza sostanziale oppure ininfluente lo stabilirà il giudice che dovrà decidere sul rinvio a giudizio dei due funzionari, di cinque poliziotti e una giudice di pace. Di certo, la frase di Cortese – “non ho mai interloquito con Improta sul trattenimento” – nega qualsiasi sua responsabilità nell’espulsione e, di conseguenza, sul presunto sequestro.
Improta al Fatto dichiara: “La mia versione è nei verbali d’interrogatorio”. Confermando quindi d’aver tenuto Cortese al corrente. E ribadisce di non aver firmato un solo atto amministrativo nell’iter dell’espusione. Riguardo all’appunto sulla collaborazione con la Mobile commenta: “Non l’ho mai letto neanche io: era un trattenimento che seguiva una procedura automatica. Ovvero alla denuncia della stessa Squadra mobile. In assenza di visto e documenti validi, in presenza di un documento falso e false generalità, il trattenimento è obbligatorio”.
Riguardo all’assenza di comunicazioni formali con Cortese sul trattenimento e l’espulsione, osserva: “È logico, perché l’ufficio di polizia giudiziaria non ha titolo per interloquire con l’ufficio immigrazione su una procedura di espulsione”. Cortese conferma però ai pm di essersi comunque occupato di un atto strettamente legato all’espulsione: l’affidamento della figlia minorenne – “avvenuto su disposizione del Tribunale dei minori”, precisa Improta – di Shalabayeva. “Quando Improta mi chiese di far accompagnare la bambina all’Ufficio Immigrazione e poi a Ciampino – spiega ai pm Cortese – non feci questioni perché ancora avevo del personale nella villa di Casal Palocco. Era un aiuto materiale: le circolari lo prevedono”. “Nessuno – continua Cortese – mi riferì delle modalità d’espulsione con un aereo noleggiato dall’ambasciata kazaka”. “Neanche io lo sapevo”, precisa Improta.