Corriere 8.9.17
Mannarino
«Non sono un bohémien tutto rabbia e vino
Ho avuto fidanzate bellissime, ora sono solo»
di Stefano Landi
C’è
un Mannarino che sale sul palco e riceve ogni volta l’abbraccio di
migliaia di persone che vibrano come fossero corde dello stesso violino.
Poi c’è Alessandro, un ragazzo di Roma. «La cosa più difficile resta
saper dividere il mio pubblico dal privato. Io sono uno che la vita
privata se la vuole tenere stretta, perché è la cosa più preziosa. Fin
dal primo disco mi hanno appicciato addosso l’etichetta del personaggio
bohémien , tutto rabbia, vino e metafore. Ma quell’etichetta mi ha
spaventato e lotto ogni giorno per defilarmi da quel personaggio. Spero
sempre che l’attenzione della gente sia su quello che scrivo» racconta.
La fuga dalla mondanità
Mannarino
sta preparandosi a salire sul palco. Fra poco lo show lo trasformerà in
un animale da palco pronto a far ballare la gente in una grande festa
pagana. E per questo quasi sottovoce vuole rimanere incollato ai momenti
del suo quotidiano. Quelli di chi non ha smesso di vivere fedelmente il
suo quartiere. Monte Sacro, dove abita oggi: «Una zona né centrale né
elegante. Quello che conta per me è la dimensione intatta che ti fa
sembrare tra le mura sicure di un paese. Qui si conoscono tutti. Vado a
fare la spese al mercato all’aperto, gioco a pallone con gli amici di
sempre. Quelli che mi chiamano Alessandro e mi proteggono da tutto. Sono
questi rapporti veri che mi fanno avere un legame così puro con la
musica». Però quando esce Bar della rabbia nel 2009, Mannarino è ancora
un ragazzo con soprattutto tanta voglia di esplodere. Non un uomo di 37
anni capace di misurare le ambizioni: «All’inizio pensavo che il
successo mi rendesse interessante. Ma ho capito che se hai un limite
come uomo non basta essere un personaggio famoso per passargli sopra».
Per questo Mannarino fugge dalla mondanità, resta fuori volentieri dai
circoli del gossip. Anzi appena può fa le valigie e parte zaino in
spalla, da solo, per un posto lontano dove perdersi tra migliaia di
sconosciuti: «Per scrivere Apriti cielo sono stato mesi in Brasile. Non
ho mai raccontato a nessuno chi ero».
Godersi la solitudine
Un
discorso che vale anche e soprattutto con le donne: «Donne bellissime,
ognuna ha fatto qualcosa per migliorarmi. Un’ex fidanzata, che lavorava
per la Fao e Medici Senza Frontiere, mi ha insegnato a viaggiare da
backpacker . Credo nel confronto con una donna, per questo mi sono
sempre innamorato di persone mature, di grande personalità, di
esperienza. È grazie ad alcune di loro che ho imparato a tenere botta
davanti alle illusioni del successo. Ora sono solo. Vivo la giornata e
mi godo la solitudine. Sono consapevole che il mio lavoro mi sta rubando
tanto del tempo che una donna merita le venga dedicato». Anche perché
il rischio può essere di innamorarsi dell’artista che si vede sotto i
riflettori durante il concerto: «Quando scendi dal palco, la donna non
vuole Mannarino. Non vuole il pavone che si specchia in se stesso. Ora
sto entrando in una fase della mia vita in cui vorrei provare a
rimettermi in discussione, trovare con una donna il rapporto profondo».
Ma negli ultimi anni c’è una ferita che resta aperta: ma non è una
questione di cuore.
Il ricordo di Stefano Cucchi
Giugno
2014, lungomare di Ostia. È la sera della festa di 18 anni della
sorella. Viene importunata, c’è un’aggressione e Mannarino viene
condannato a un anno e 6 mesi di carcere per resistenza e lesioni a
pubblico ufficiale. A breve si aprirà il processo d’appello: «Quello che
mi ha fatto più male sono stati gli insulti che ho ricevuto sui social.
Gente poco informata. Da lì nutro un sentimento di riservatezza più
forte». Nel disco precedente c’è Scendi giù : «La mia canzone più
arrabbiata. Racconto l’ingiustizia vissuta da Stefano Cucchi. Mi
emoziona sentire la gente che la canta a squarciagola». Di Mannarino
resta forte l’impegno sociale. Nell’ultimo tour, è salito sul palco con
una maglietta con la scritta «case popolari»: «Quando ero bambino vivevo
in un quartiere popolare, San Basilio. Mia madre mi ripeteva sempre:
“Se ti chiedono dove vivi, rispondi sempre tra la Nomentana e la
Tiburtina”». Indosso quella maglietta perché voglio che se c’è qualcuno
nel pubblico che sta vivendo una storia simile non si debba vergognare.
Vado fiero delle mie origini. L’ambiente popolare mi ha dato un cuore».
Mannarino resta uno dei figli più fedeli di Roma: «Un rapporto complesso
per l’arroganza di questa città, colpa dei poteri forti: dovremmo
essere in uno stato laico, invece ti inculcano una religione fin da
piccolo». La gente si immagina un Mannarino politicamente schierato:
«Invece non mi riconosco più in nessun movimento. Al liceo mi sentivo di
sinistra, mi affascinavano parole come uguaglianza e fraternità».
Le ninna nanne di Trilussa
Erano
gli anni in cui nasceva la vena artistica: «Mio nonno mi ha aperto la
finestra sulla poesia. Appassionato di jazz e opera, mi leggeva Trilussa
come ninna nanna». Così è maturato il sogno di fare il cantante:
«Andandomene via di casa giovanissimo, completamente squattrinato. Tutti
mi dicevano di cercare un lavoro, mio nonno mi spronava a scrivere». Ci
sono poi altri riferimenti artistici non banali: «La mia maestra delle
elementari mi fece il primo complimento per una poesia». Più dura è
stata convincere i genitori: «Mi sono laureato in Antropologia, ma non
sono nemmeno andato a ritirare l’attestato. Lì ho deluso i miei genitori
che avevano investito tanto». Mannarino poi ha pubblicato quattro
dischi. Apriti cielo , uscito a gennaio, è andato dritto al numero 1. Il
tour, che quest’estate è passato dai palazzetti a sotto le stelle, ha
venduto più di 100 mila biglietti. «Qualche mese fa giravo gli store per
la promozione dell’album. Davanti i ragazzi in coda per un autografo.
Alla Feltrinelli di Roma, all’ultimo incontro, mi trovo davanti papà. Si
era fatto quattro ore di attesa nascosto tra le gente. Mi ha detto: “Lo
volevo fare per me stesso”».