Corriere 19.9.17
Tedesca violentata nel centro di Roma
di Paolo Conti e Rinaldo Frignani
Violentata
nel centro di Roma. Vittima una donna tedesca di 57 anni che vive da
sei mesi nella capitale chiedendo l’elemosina. Ad aggredirla un giovane
straniero. «Mi ha afferrata per i capelli, picchiata e violentata. Sono
riuscita a scappare, ma lui mi ha raggiunto, mi ha legato i polsi e ha
continuato».
Suso Cecchi d’Amico, la grande sceneggiatrice dei
film di Visconti, Monicelli e tanti altri, alcuni anni prima della sua
scomparsa nel 2010, raccontava agli amici che negli anni Cinquanta
passeggiava spesso, e a lungo, di notte a villa Borghese con Anna
Magnani, scambiando idee e sogni. «Oggi — diceva tristemente — sarebbe
impensabile». Suso si occupò a lungo del parco, che le era caro perché
lo guardava da una vita dalle finestre di casa, e ingaggiò battaglie
civili (puntualmente inascoltate) contro il degrado, girando anche un
cortometraggio.
Da quei racconti sono passati più o meno dieci
anni. Dall’incuria di allora, già intollerabile, Villa Borghese è
precipitata nel disastro. Rapidi flash. Ingresso del parco ideato dal
cardinal Scipione Borghese nei primi anni del 1600, siamo all’uscita di
via Veneto. Sulla sinistra i tipici non-luoghi che Roma produce, prima
inaugurando tra gli applausi, e subito colpevolmente dimenticando, opere
e strutture di servizio.
Ecco due scale mobili chiuse,
abbandonate, dirette verso il nulla, recintate, strapiene di rifiuti più
o meno umani, bottiglie di vetro, sterpaglia. Lì una rampa di accesso a
un varco sotterraneo sbarrata, ridotta a immensa latrina e a discarica
di metalli. Tra questi due monumenti al disastro romano, tracce di un
accampamento notturno: scarpe di donna spaiate, due mutande femminili
appese a una siepe, più in là un boxer maschile, una borsa da donna
beige, persino una tastiera rotta di un computer, due scatole di
profilattici, una di biscotti. A poche decine di metri c’è lo sfondo de
«La Dolce Vita», ma è retorico e soprattutto superfluo ricordarlo.
Di
simili meandri Villa Borghese, che con i suoi 80 ettari è il parco più
vasto della Capitale, è strapiena. Impossibile un’anagrafe. Ma si dorme,
o ci si accampa, accanto alle prese d’aria del megaparcheggio. O lungo
l’asse del Muro Torto, che divide il Pincio dalla villa.
Altri
riferimenti di una marginalità nomade e disperata sono i sottopassi
automobilistici di Corso Italia, Grande Opera per le Olimpiadi del 1960:
d’inverno, sui lati vicini a via Veneto, c’è la fila di cartoni che
coprono esseri umani. Poi c’è un altro agglomerato, in quel suk
inguardabile di piazzale Flaminio, all’uscita monumentale della Villa, a
un passo da piazza del Popolo: altri cartoni, altre vite perdute.
Le notti di Villa Borghese, a differenza di quelle ricordate da Suso Cecchi d’Amico, sono pericolose e sconsigliabili.
Tutto
questo terreno produce storie più o meno gravi di molestie sessuali. O
la famosa violenza contro una cittadina americana nel 2011 in una cabina
dell’Acea della villa. Due anni fa emerse una storia di ricatti e di
prostituzione maschile a Villa Borghese, col coinvolgimento di alcuni
prelati.
Perché l’abitudine è antica, la sera tardi e la notte c’è
un universo a parte tra l’ingresso della Galleria Nazionale in viale
delle Belle Arti e le rampe che portano all’altro ingresso della villa,
verso piazzale Firdousi e piazza Paolina Borghese, o verso piazzale
Picasso, non lontano dal Bioparco, cioè l’ex Giardino Zoologico.
Anche
in pieno giorno, soprattutto d’estate, la Villa ospita tanti turisti e
molti dimenticati dalla vita. Li riconosci per la bottiglia di birra in
mano già di mattina, e lo sguardo fissato nel nulla.
Ma dire che
villa Borghese, con la sua centralità nel cuore di Roma, tra i Parioli e
via del Corso, sia diventata l’unico inferno romano sarebbe falso e
riduttivo. Giorni fa, un senza casa accampato nel portico dell’antica
Basilica dei Santi Apostoli diceva: «Di notte Roma si trasforma in un
immenso dormitorio. E nessuno vuole rendersene conto». Quella, sì, è la
verità.