Corriere 19.9.17
«La storia di mia sorella nasconde qualcosa di inconfessabile Ora ci dicano la verità»
di F. Sar.
ROMA
«Io ho sempre creduto che mia sorella fosse stata portata in un
convento o in un luogo segreto. Ecco perché mi appello a Papa Francesco
affinché utilizzi questo documento per fare luce e per dirci la verità.
Lui ha sempre affermato: costruiamo ponti, non alziamo muri».
Pietro
Orlandi non si è mai arreso. Aveva 23 anni quando Emanuela è scomparsa e
da allora non ha mai smesso di cercarla. Ora, dopo aver parlato con le
sue avvocatesse Annamaria Bernardini De Pace e Laura Sgrò, è convinto
che qualcosa stia cambiando.
Lei crede che il dossier che circola in Vaticano sia vero?
«Io
non lo so, ma ritengo che ci siano circostanze da approfondire e per
questo chiedo aiuto. Vorrei ricordare che Emanuela è cittadina vaticana,
per la Santa Sede dovrebbe essere una priorità scoprire che cosa è
davvero accaduto. Sono convinto che se Papa Francesco liberasse tutti
dal segreto, finalmente noi sapremmo che cosa hanno fatto a mia sorella.
In Vaticano ci sono moltissime persone che lo sanno ma non possono
rivelarlo».
Molte persone citate nel dossier sono morte.
«Forse
non è un caso che stia circolando proprio adesso. Io voglio ricordare a
monsignor Giovanni Battista Re che lui ci aveva confortato all’epoca
della scomparsa e adesso potrebbe aiutarci a trovare pace proprio
rispondendo alle nostre istanze sul ruolo della Segreteria di Stato».
Ma le sembra possibile che Emanuela sia stata tenuta segregata per quattordici anni?
«Sicuramente
è accaduto qualcosa di inconfessabile, altrimenti non ci sarebbe stata
tutta questa determinazione a negare di aver mai avuto notizie.
Inizialmente Giovanni Paolo II rivolse appelli pubblici perché mia
sorella fosse restituita alla sua famiglia. Poi non è accaduto più
nulla, anzi siamo stati osteggiati. Abbiamo sempre avuto la percezione
di rappresentare un problema per i prelati mentre avrebbero dovuto
fornirci il loro appoggio».
Fu Papa Francesco a dirle «Emanuela è in cielo». Che impressione ha avuto durante quell’incontro?
«Sono
rimasto costernato. Se lui davvero sa che è morta, deve sapere anche
come è successo. Quando me lo disse mi mise una mano sul braccio come a
rassicurarmi e poi andò via. Ho tentato più volte di essere ricevuto, ma
ho sempre trovato la porta chiusa. E invece torno a chiederlo adesso:
abbiamo diritto di sapere la verità, mia madre ha diritto di sapere
dov’è sua figlia».
Su Facebook lei ieri ha scritto «il muro sta cadendo»: è così fiducioso?
«Devo
esserlo. E comunque è la prima volta che un documento esce da quelle
mura. È una novità clamorosa. Io ho sempre pensato che da una parte ci
fosse Emanuela, dall’altra il Vaticano e in mezzo un groviglio
inestricabile di circostanze misteriose».
Questo documento sembra voler avvalorare l’ipotesi che sia morta nel 1997. Lei ci crede?
«Fino
a che non mi restituiranno il corpo di mia sorella io crederò che sia
viva. Fino a che non mi diranno dove è sepolta io continuerò a cercarla,
non smetterò mai di bussare a tutte le porte. Lo devo a lei e alla mia
famiglia. Lo devo a mia madre che non può rassegnarsi a non sapere dove
sia sua figlia».