mercoledì 13 settembre 2017

Corriere 13.9.17
Dan Brown
Torna l’autore del «Codice da Vinci» che fa cominciare così il suo «Origin»: una scoperta, tre capi religiosi...
di Dan Brown

Sul vecchio treno a cremagliera che arrancava per la vertiginosa salita, Edmond Kirsch osservava la cresta frastagliata sopra di lui. In lontananza, il massiccio monastero di pietra costruito nella parete a picco pareva come sospeso, magicamente fuso con il fianco verticale della montagna.
Quel luogo sacro e senza tempo della Catalogna resisteva da secoli all’inesorabile forza di gravità senza mai sfuggire al suo scopo originario: isolare i religiosi dal mondo moderno.
“Per ironia della sorte, ora saranno i primi a conoscere la verità” pensò Kirsch, chiedendosi quale sarebbe stata la loro reazione. Storicamente, gli uomini più pericolosi sulla terra erano uomini di Dio... specialmente quando qualcuno minacciava le loro divinità. “E io sto per sollevare un vespaio”.
Quando il treno raggiunse la vetta, Kirsch trovò una figura solitaria ad attenderlo sulla banchina: un uomo scheletrico e avvizzito che indossava la tradizionale veste talare paonazza dei vescovi cattolici con rocchetto bianco e lo zucchetto. Kirsch riconobbe i lineamenti ossuti dalle foto che aveva visto di lui e avvertì una inaspettata scarica di adrenalina.
“Valdespino è venuto ad accogliermi di persona”. Il vescovo Antonio Valdespino era una figura temuta e rispettata in Spagna: non solo amico fidato e consigliere del re, ma uno dei più influenti e accesi difensori dei tradizionali valori cattolici e delle politiche conservatrici.
«Edmond Kirsch, suppongo?» chiese il vescovo appena Kirsch scese dal treno.
«Mi dichiaro colpevole» rispose Kirsch con un sorriso, stringendo la mano ossuta del suo ospite. «Monsignore, desidero ringraziarla per aver organizzato questo incontro».
«E io le sono grato per averlo richiesto». La voce del vescovo era più forte di quanto Kirsch si aspettasse, chiara e squillante come il suono di una campana. «Non ci capita spesso di essere interpellati da uomini di scienza, tanto meno da persone del suo calibro. Mi segua, prego».
Valdespino precedette Kirsch lungo la banchina, e l’aria fredda della montagna gli fece svolazzare la veste talare. «Confesso che lei è diverso da come immaginavo» disse. «Mi aspettavo uno scienziato, ma vedo che lei è piuttosto...». Osservò con un accenno di disapprovazione l’elegante abito Kiton K50 e le scarpe Barker in pelle di struzzo. «Stiloso, credo sia la parola giusta?»
Kirsch rispose con un sorriso garbato. La parola “stiloso” era passata di moda da anni.
«Leggendo l’elenco delle sue imprese» disse il vescovo «non ho ancora ben capito cosa faccia, esattamente».
«Sono specializzato in teoria dei giochi e modelli informatici».
«Quindi crea giochi per computer, quelli con cui si divertono i ragazzi?»
Kirsch intuì che il vescovo fingeva di non capire nel tentativo di apparire all’antica. In realtà, Kirsch sapeva che Valdespino era uno studioso assai ben informato di tecnologia, che spesso metteva in guardia gli altri dai suoi pericoli. «No, monsignore, in realtà la teoria dei giochi è un campo della matematica che studia i modelli per formulare previsioni sul futuro».
«Ah, sì. Mi pare di aver letto che qualche anno fa lei aveva previsto una crisi monetaria europea, giusto? E sebbene nessuno le abbia dato ascolto, ha salvato la situazione inventando un programma informatico che ha fatto resuscitare l’Unione Europea. Come dice quella sua frase famosa? “Ho trentatré anni, la stessa età di Cristo quando ha compiuto la sua resurrezione”».
Kirsch si schermì, imbarazzato. «Un paragone infelice, monsignore. Ero giovane».
«Giovane?» Valdespino fece una risatina. «Perché, adesso quanti anni ha... quaranta?»
«Appena compiuti».
L’anziano vescovo sorrise mentre il vento continuava a gonfiargli la veste. «Be’, gli umili dovrebbero ereditare la terra, e invece è andata ai giovani... a quelli che sanno tutto di tecnologia, che stanno tutto il tempo a guardare uno schermo di computer anziché dentro la propria anima. Devo ammettere che non avrei mai immaginato di avere motivo di incontrare il giovane uomo che guida la carica. La definiscono un “profeta”, sa?»
«Dal suo punto di vista non un buon profeta, monsignore» rispose Kirsch. «Quando ho chiesto se potevo incontrare lei e i suoi colleghi in privato, ho calcolato che c’era solo un venti per cento di possibilità che accettaste».
«E, come ho detto ai miei colleghi, un devoto può sempre trarre giovamento dal confronto con un non credente. È ascoltando la voce del diavolo che possiamo meglio apprezzare quella di Dio». Il vescovo Valdespino sorrise. «Scherzo, ovviamente. La prego di perdonare il mio senso dello humour. Sto invecchiando. Di tanto in tanto i miei filtri vengono meno». Gli fece cenno di proseguire. «Gli altri ci stanno aspettando. Da questa parte, prego».
Kirsch osservò il luogo in cui erano diretti, un’enorme cittadella di pietra grigia appollaiata sul ciglio di una parete che scendeva a strapiombo per centinaia di metri fino a un lussureggiante tappeto di colline boscose. Impaurito dall’altezza, distolse lo sguardo dal precipizio e seguì il vescovo lungo il sentiero accidentato che costeggiava il bordo del dirupo, concentrandosi sull’incontro che lo aspettava. Kirsch aveva richiesto un’udienza con tre importanti capi religiosi che avevano appena partecipato a una serie di conferenze in quel monastero.
Il Parlamento delle religioni del mondo.
Fin dal 1893, centinaia di capi spirituali di quasi trenta religioni diverse si riunivano periodicamente, a distanza di qualche anno, in una località sempre diversa per una settimana di dialogo interreligioso. A quegli incontri partecipavano influenti sacerdoti cristiani, rabbini e mullah di tutto il mondo, insieme a pujari induisti, monaci buddisti, giainisti, sikh e altri.
L’obiettivo dichiarato del parlamento era “promuovere l’armonia tra le religioni del mondo, costruire ponti tra le diverse spiritualità e celebrare i punti di incontro di tutte le fedi”.
“Un nobile scopo” pensava Kirsch, pur ritenendolo un futile esercizio... una ricerca senza costrutto di casuali punti di corrispondenza in un’accozzaglia di antichi racconti, favole e miti. Mentre il vescovo faceva strada sul sentiero, Kirsch guardò giù lungo il versante della montagna, colpito da un pensiero ironico. “Mosè è salito su una montagna per ricevere la parola di Dio... io invece per il motivo opposto”.
A indurlo a salire quella montagna, si era detto Kirsch, era stato un obbligo morale, ma lui sapeva che c’era anche una buona dose di superbia... il desiderio di provare la gratificazione di trovarsi faccia a faccia con quei religiosi e predirne l’imminente scomparsa.
“Vi siete divertiti abbastanza a definire le nostre verità”. «Ho letto il suo curriculum vitae» disse il vescovo di punto in bianco, lanciando un’occhiata a Kirsch. «Ho visto che ha studiato a Harvard».
«Sì. Per la laurea di primo livello».
«Capisco. Ho letto di recente che, per la prima volta nella storia di Harvard, tra i nuovi studenti ci sono più atei e agnostici che non seguaci di una qualsiasi religione. È una statistica assai significativa, signor Kirsch».
“Sì, significa che i nostri studenti sono sempre più svegli” avrebbe voluto rispondergli Kirsch.
Il vento aveva preso a soffiare più forte quando arrivarono all’antico edificio di pietra. Dentro l’ingresso fiocamente illuminato, l’aria era greve del profumo forte dell’incenso. I due uomini procedettero attraverso un labirinto di corridoi bui, e gli occhi di Kirsch fecero fatica a adattarsi mentre camminava dietro Valdespino. Alla fine arrivarono a una porticina di legno. Dopo avere bussato, il vescovo si chinò ed entrò, facendo segno al suo ospite di seguirlo. Kirsch varcò la soglia, titubante.
Si ritrovò in una sala rettangolare dalle pareti altissime tappezzate di antichi volumi rilegati in pelle. Altri scaffali si protendevano dalle pareti, simili a costole, inframezzati da radiatori di ghisa che crepitavano e sibilavano, dando l’inquietante sensazione che la stanza fosse viva. Kirsch fece scorrere lo sguardo sulla passerella protetta da una balaustra ornata che girava tutto attorno alla sala a livello del secondo piano e capì con certezza dove si trovava.
“La famosa biblioteca di Montserrat” pensò, sorpreso di esservi stato ammesso. Si diceva che quella stanza sacra custodisse testi unici e rarissimi, accessibili soltanto ai monaci che avevano dedicato la loro esistenza a Dio e che vivevano segregati su quella montagna. «Lei ha chiesto riserbo» disse il vescovo. «Questo è il nostro luogo più riservato. Pochissimi estranei vi sono mai entrati». «Un vero privilegio. La ringrazio».
Kirsch seguì il vescovo a un grande tavolo di legno a cui erano seduti due uomini anziani. Quello sulla sinistra sembrava logorato dal tempo, con occhi stanchi e una barba bianca arruffata. Indossava un abito nero sgualcito, una camicia bianca e un cappello floscio di feltro.
«Le presento il rabbino Yehuda Köves» disse il vescovo. «È un eminente studioso dell’ebraismo e ha scritto un gran numero di testi sulla cosmologia della cabala».
Kirsch allungò il braccio sopra il tavolo e strinse educatamente la mano al rabbino. «È un piacere conoscerla» disse. «Ho letto i suoi libri sulla cabala. Non posso dire di averli capiti, ma li ho letti».
Köves rispose con un affabile cenno del capo, asciugandosi con un fazzoletto gli occhi acquosi.
«E qui» proseguì il vescovo, indicando l’altro religioso «abbiamo l’ allamah Syed al-Fadl».
(traduzione di Annamaria Raffo e Roberta Scarabelli )