Repubblica 8.7.17
Francesco: “Il mio grido al G20 No ad alleanze contro i migranti”
Intervista con il Papa: non fermate i poveri
L’Europa non dimentichi il suo colonialismo
di Eugenio Scalfari
GIOVEDÌ
scorso, cioè l’altro ieri, ho ricevuto una telefonata da Papa
Francesco. Era circa mezzogiorno e io ero al giornale, quando è
squillato il mio telefono e una voce mi ha salutato: era di sua Santità.
L’ho riconosciuta subito e ho risposto: Papa Francesco, mi fa felice
sentirla. «Volevo notizie sulla sua salute. Sta bene? Si sente bene? Mi
hanno detto che qualche settimana fa lei non ha scritto il suo articolo
domenicale, ma poi vedo che ha ripreso».
Santità, ho tredici anni
più di lei. «Sì, questo lo so. Deve bere due litri d’acqua al giorno e
mangiare cibo salato». Sì lo faccio. Sono seguiti altri suoi consigli ma
io l’ho interrotto dicendo: è un po’ che non ci parliamo, vorrei venire
a salutarla, vado in vacanza tra pochi giorni ed è parecchio che non ci
vediamo. «Ha ragione, lo desidero anche io. Potrebbe venire oggi? Alle
quattro?». Ci sarò senz’altro.
Mi sono precipitato a casa e alle
tre e tre quarti ero nel piccolo salotto di Santa Marta. Il Papa è
arrivato un minuto dopo. Ci siamo abbracciati e poi, seduti uno di
fronte all’altro, abbiamo cominciato a scambiare idee, sentimenti,
analisi di quanto avviene nella Chiesa e poi, nel mondo.
IL
PAPA viaggia incessantemente: a Roma, in Italia, nel mondo. Il tema
principale della nostra conversazione è il Dio unico, il Creatore unico
del nostro pianeta e dell’intero Universo. Questa è la tesi di fondo del
suo pontificato, che comporta una serie infinita di conseguenze, le
principali delle quali sono l’affratel-lamento di tutte le religioni e
di quelle cristiane in particolare, l’amore verso i poveri, i deboli,
gli esclusi, gli ammalati, la pace e la giustizia.
Il Papa
naturalmente sa che io sono non credente, ma sa anche che apprezzo
moltissimo la predicazione di Gesù di Nazareth che considero un uomo e
non un Dio. Proprio su questo punto è nata la nostra amicizia. Il Papa
del resto sa che Gesù si è incarnato realmente, è diventato un uomo fino
a quando fu crocifisso. La “ Resurrectio” è infatti la prova che un Dio
diventato uomo solo dopo la sua morte ridiventa Dio.
Queste cose
ce le siamo dette molte volte ed è il motivo che ha reso così perfetta e
insolita l’amicizia tra il Capo della Chiesa e un non credente.
Papa
Francesco mi ha detto di essere molto preoccupato per il vertice del
“G20”. «Temo che ci siano alleanze assai pericolose tra potenze che
hanno una visione distorta del mondo: America e Russia, Cina e Corea del
Nord, Putin e Assad nella guerra di Siria».
Qual è il pericolo di queste alleanze, Santità?
«Il
pericolo riguarda l’immigrazione. Noi, lei lo sa bene, abbiamo come
problema principale e purtroppo crescente nel mondo d’oggi, quello dei
poveri, dei deboli, degli esclusi, dei quali gli emigranti fanno parte.
D’altra parte ci sono Paesi dove la maggioranza dei poveri non proviene
dalle correnti migratorie ma dalle calamità sociali; altri invece hanno
pochi poveri locali ma temono l’invasione dei migranti. Ecco perché il
G20 mi preoccupa: colpisce soprattutto gli immigrati di Paesi di mezzo
mondo e li colpisce ancora di più col passare del tempo».
Lei
pensa, Santità, che nella società globale come quella in cui viviamo la
mobilità dei popoli sia in aumento, poveri o non poveri che siano?
«Non
si faccia illusioni: i popoli poveri hanno come attrattiva i continenti
e i Paesi di antica ricchezza. Soprattutto l’Europa. Il colonialismo
partì dall’Europa. Ci furono aspetti positivi nel colonialismo, ma anche
negativi. Comunque l’Europa diventò più ricca, la più ricca del mondo
intero. Questo sarà dunque l’obiettivo principale dei popoli migratori».
Anch’io
ho pensato più volte a questo problema e sono arrivato alla conclusione
che, non soltanto ma anche per questa ragione, l’Europa deve assumere
al più presto una struttura federale. Le leggi e i comportamenti
politici che ne derivano sono decisi dal governo federale e dal
Parlamento federale, non dai singoli Paesi confederati. Lei del resto
questo tema l’ha più volte sollevato, perfino quando ha parlato al
Parlamento europeo.
«È vero, l’ho più volte sollevato». E ha
ricevuto molti applausi e addirittura ovazioni. «Sì, è così, ma
purtroppo significa ben poco. I Paesi si muoveranno se si renderanno
conto di una verità: o l’Europa diventa una comunità federale o non
conterà più nulla nel mondo. Ma ora voglio farle una domanda: quali sono
pregi e difetti dei giornalisti?».
Lei, Santità, dovrebbe saperlo meglio di me perché è un assiduo oggetto dei loro articoli.
«Sì, ma mi interessa saperlo da lei».
Ebbene,
lasciamo da parte i pregi, ma ci sono anche quelli e talvolta molto
rilevanti. I difetti: raccontare un fatto non sapendo fino a quale punto
sia vero oppure no; calunniare; interpretare la verità facendo valere
le proprie idee. E addirittura fare proprie le idee di una persona più
saggia e più esperta attribuendole a se stesso. «Quest’ultima cosa non
l’avevo mai notata. Che il giornalista abbia le proprie idee e le
applichi alla realtà non è un difetto, ma che si attribuisca idee altrui
per ottenere maggior prestigio, questo è certamente un difetto grave».
Santità,
se me lo consente ora vorrei io porle due domande. Le ho già
prospettate un paio di volte nei miei recenti articoli, ma non so come
Lei la pensa in proposito. «Ho capito, lei parla di Spinoza e di Pascal.
Vuole riproporre questi suoi due temi?».
Grazie, comincio
dall’Etica di Spinoza. Lei sa che di nascita era ebreo, ma non praticava
quella religione. Arrivò nei Paesi Bassi provenendo dalla sinagoga di
Lisbona. Ma in pochi mesi, avendo pubblicato alcuni saggi, la sinagoga
di Amsterdam emise un durissimo editto nei suoi confronti. La Chiesa
cattolica per qualche mese cercò di attirarlo nella sua fede. Lui non
rispondeva e aveva disposto che i suoi libri fossero pubblicati soltanto
dopo la sua morte. Nel frattempo però alcuni suoi amici ricevevano
copie dei libri che andava scrivendo. L’Etica in particolare, arrivò a
conoscenza della Chiesa la quale immediatamente lo scomunicò. Il motivo è
noto: Spinoza sosteneva che Dio è in tutte le creature viventi:
vegetali, animali, umani. Una scintilla di divino è dovunque. Dunque Dio
è immanente, non trascendente. Per questo fu scomunicato.
«E a
lei non sembra giusto. Perché? Il nostro Dio unico è trascendente. Anche
noi diciamo che una scintilla divina è dovunque, ma resta immune la
trascendenza, ecco il perché della scomunica che gli fu impartita». E a
me sembra, se ben ricordo anch’io, su sollecitazione
INTESE PERICOLOSE
Mi preoccupa la possibilità di intese
pericolose tra alcune potenze: penso ad America e Russia, Cina e Corea
del Nord, Russia e Assad nella guerra di Siria
EUROPA FEDERALE
L’Europa
deve assumere al più presto una struttura federale. O l’Europa diventa
una comunità federale oppure non conterà più nulla nel mondo”
BEATO PASCAL
Penso
che Pascal meriti la beatificazione. Mi riservo di far istruire la
pratica necessaria, accompagnata da un mio personale e positivo
convincimento
dell’Ordine dei Gesuiti. «All’epoca di cui parliamo i
Gesuiti erano stati espulsi dalla Chiesa, poi furono riammessi.
Comunque, lei non mi ha detto perché quella scomunica dovrebbe essere
revocata».
La ragione è questa: Lei mi ha detto in un nostro
precedente colloquio che tra qualche millennio la nostra specie si
estinguerà. In quel caso le anime che ora godono della beatitudine di
contemplare Dio ma restano distinte da Lui, si fonderanno con Lui. A
questo punto la distanza tra trascendente e immanente non esisterà più. E
quindi, prevedendo questo evento, la scomunica si può già da ora
dichiarare esaurita. Non le sembra, Santità?
«Diciamo che c’è una
logica in ciò che lei propone, ma la motivazione poggia su una mia
ipotesi che non ha alcuna certezza e che la nostra teologia non prevede
affatto. La scomparsa della nostra specie è una pura ipotesi e quindi
non può motivare una scomunica emessa per censurare l’immanenza e
confermare la trascendenza».
Se Lei lo facesse, Santità, avrebbe contro di sé la maggioranza della Chiesa?
«Credo
di sì, ma se solo di questo si trattasse ed io fossi certo di ciò che
dico su questo tema, non avrei dubbi, invece non sono affatto certo e
quindi non affronterò una battaglia dubitabile nelle motivazioni e persa
in partenza. Adesso, se vuole, parliamo della seconda questione che lei
desidera pormi».
Porta il nome di Pascal. Dopo una gioventù
alquanto libertina, Pascal fu come improvvisamente invaso dalla fede
religiosa. Era già molto colto, aveva letto ripetutamente Montaigne e
anche Spinoza, Giansenio, le memorie del cardinale Carlo Borromeo.
Insomma, una cultura laica e anche religiosa. La fede a un certo punto
lo colpì in pieno. Aderì alla Comunità di Port-Royal des Champs, ma poi
se ne distaccò. Scrisse alcune opere tra le quali i “Pensieri”, un libro
a mio avviso splendido e religiosamente di grande interesse. Ma poi c’è
la sua morte. Era praticamente moribondo e la sorella l’aveva fatto
portare nella propria casa per poterlo assistere. Lui voleva morire
nell’ospedale dei poveri, ma il suo medico negò il permesso, gli
restavano pochi giorni di vita e il trasporto non era fattibile. Chiese
allora che un povero tratto da un ospedale che gestiva i poveri
pessimamente, anche in fin di vita, fosse trasportato nella casa dove
stava e con un letto come quello che aveva lui. La sorella cercò di
accontentarlo ma la morte arrivò prima. Personalmente penso che uno come
Pascal andrebbe beatificato.
«Lei, caro amico, ha in questo caso
perfettamente ragione: anch’io penso che meriti la beatificazione. Mi
riserbo di far istruire la pratica necessaria e chiedere il parere dei
componenti degli organi vaticani preposti a tali questioni, insieme ad
un mio personale e positivo convincimento». Santità ha mai pensato di
mettere per iscritto un’immagine della Chiesa sinodale? «No perché
dovrei?». Perché ne verrebbe un risultato abbastanza sconvolgente, vuole
che glielo dica? «Ma certo mi fa piacere anzi lo disegni». Il Papa fa
portare carta e penna e io disegno. Faccio una riga orizzontale e dico
questi sono tutti i vescovi che Lei raccoglie al Sinodo, hanno tutti un
titolo eguale e una funzione eguale che è quella di curare le anime
affidate alla loro Diocesi. Traccio questa linea orizzontale poi dico:
ma Lei, Santità, è vescovo di Roma e come tale ha la primazia nel Sinodo
perché spetta a Lei trarne le conclusioni e delineare la linea generale
del vescovato. Quindi il vescovo di Roma sta sopra la linea
orizzontale, c’è una linea verticale che sale fino al suo nome e alla
sua carica. D’altra parte i presuli che stanno sulla linea orizzontale
amministrano, educano, aiutano il popolo dei fedeli e quindi c’è una
linea che dall’orizzontale scende fino a quello che rappresenta il
popolo. Vede la grafica? Rappresenta una Croce.
«È bellissima
questa idea, a me non era mai venuto di fare un disegno della Chiesa
sinodale, lei l’ha fatto, mi piace moltissimo».
Si è fatto tardi.
Francesco ha portato con sé due libri che raccontano la sua storia in
Argentina fino al Conclave e contengono anche i suoi scritti che sono
moltissimi, un volume di centinaia di pagine. Ci abbracciamo nuovamente.
I libri pesano e li vuole portare lui. Arriviamo con l’ascensore al
portone di Santa Marta, presidiato dalle guardie svizzere e dai suoi più
stretti collaboratori.
La mia automobile è davanti al portico. Il
mio autista scende per salutare il Papa (si stringono la mano) e cerca
d’aiutarmi a entrare in automobile. Il Papa lo invita a rimettersi alla
guida e ad accendere il motore. «L’aiuto io» dice Francesco. E accade
una cosa che secondo me non è mai accaduta: il Papa mi sostiene e mi
aiuta a entrare in macchina tenendo lo sportello aperto. Quando sono
dentro mi domanda se mi sono messo comodo. Rispondo di sì, lui chiude la
portiera e fa un passo indietro aspettando che la macchina parta,
salutandomi fino all’ultimo agitando il braccio e la mano mentre io — lo
confesso — ho il viso bagnato di lacrime di commozione.
Ho
scritto spesso che Francesco è un rivoluzionario. Pensa di beatificare
Pascal, pensa ai poveri e agli immigrati, auspica un’Europa federata e —
ultimo ma non ultimo — mi mette in macchina con le sue braccia.
Un Papa come questo non l’abbiamo mai avuto.