sabato 15 luglio 2017

Repubblica 15.7.17
I dubbi sulla strategia “solitaria” dell’ex premier. Franceschini: “Resto preoccupato, se non siamo competitivi lasciamo il Paese a Grillo e Berlusconi”. Orlando: “Stiamo perdendo troppi pezzi”. Perplesso anche Delrio
Il malessere dei ministri dem: rischiamo di scendere al 20%
di Goffredo De Marchis

ROMA. Dario Franceschini si è messo in attesa, ma non farà passi indietro. «Resto molto preoccupato. E le uscite sparse dal partito confermano quello che ho detto in direzione: in questo modo, di sicuro il Pd non compete per vincere le elezioni e consegna il Paese a Grillo o a Berlusconi». Andrea Orlando, il leader della minoranza, ha incassato l’addio di Elisa Simoni, cugina alla lontana di Matteo Renzi, sapendo che la deputata del Valdarno non è l’unica. «In giro per l’Italia ci sono altre piccole scissioni. Non è una cosa organizzata, però è preoccupante. Per la mia corrente? Certo. Ma soprattutto per il Pd che perde pezzi». Graziano Delrio non strapperà mai con Renzi che sul suo cellulare era memorizzato con il nome di Mosè. Eppure lo descrivono in fase di tribolazione; non nasconde i suoi dubbi sulla linea scelta da “Matteo” con il quale gli ultimi colloqui sono stati molto diretti, quasi tesi.
Dunque, si è innescata una “rivolta dei ministri” molto diversi tra di loro, per storia, carattere e rapporti con il segretario. Non solo. Qualche crepa sul tema dell’isolamento renziano comincia ad apparire anche tra i fedelissimi. Alessandro Alfieri, segretario regionale della Lombardia e fiore all’occhiello del renzismo, ha aperto la festa dell’Unità di Milano spiegando che «serve un centrosinistra largo e civico». Un modo per dire che la rottura dei ponti con tutti mette in pericolo anche la corsa del Pd alla regionali, fissate per l’anno prossimo (ma che Roberto Maroni vuole anticipare all’autunno). Poi, sui renziani c’è l’effetto amministrative, diffuso a macchia di leopoardo. Lì dove si è perso male o molto male, i dirigenti locali iniziano a far di conto per le elezioni politiche: quanto prenderà il Pd, il collegio che sembrava sicuro lo è ancora? Dubbi che si insinuano e non aiutano la cavalcata immaginata da Renzi.
Ieri ha riunito la sua corrente Gianni Cuperlo, da mesi il principale indiziato di una nuova scissione per via dei suoi ottimi rapporti con Giuliano Pisapia. In realtà, il suo gruppo con una serie di proposte su tasse, casa, povertà, diritto allo studio, investimenti chiede «spazio di manovra » dentro al Pd. Ma l’ex presidente del partito ammette: «Il tema dell’addio sta nella testa di molti ma la fatica, finché questo partito è il nostro, è starci con autonomia e agibilità». Il “finché” è allarmante. E nei territori il pressing di Mdp sulla sponda sinistra del Pd si sente, eccome.
I sondaggi non sono negativi (il Pd viene indicato intorno al 28 per cento). Come dire che Renzi sarà pure solo, insieme con milioni di italiani pronti a votarlo. Però le uscite e la difficoltà di avere rapporti con i potenziali alleati fanno temere una emorragia. Fino a cifre catastrofiche tra il 17 e il 20 per cento. In questa fase il leader non sembra avere intenzione di modificare la rotta. Anzi, secondo alcuni, ha in mente di tirare dritto, anche sulla liste elettorali. Potrebbe lasciare a tutte le minoranze (Orlando e Michele Emiliano) il 10 per cento complessivo dei posti di capolista. Il punto, dicono alcuni, è che in questo 10 vorrebbe comprendere anche la componente di Franceschini, schierato dalla sua parte al congresso. Dopo lo scontro in direzione, infatti, il segretario lo considera il nemico numero uno.
Il tema delle alleanze, che Renzi considera astruso, politicista e fuori dal mondo, rischia di diventare centrale, soprattutto se le scissioni dovessero continuare. Silvio Berlusconi, si dice, preferirebbe andare al governo con il Pd piuttosto che con la Lega di Salvini. Ma se con il Pd non avesse i numeri per fare una maggioranza? Orlando e Franceschini sono invece sicuri che ad Arcore la strategia sia cambiata. Il Cavaliere potrebbe tornare a spingere per il maggioritario, spiazzando Renzi che rifiuta alleanze. Oppure, con il proporzionale, darebbe vita a un listone. «Le comunali — dice un parlamentare della minoranza — dimostrano che l’elettorato di centrodestra si somma. Al dunque, è compatto. E competitivo». A quel punto, sì che il tema del centrosinistra diventerebbe cruciale.