Repubblica 13.7.17
Un genio dei numeri Ma adatto agli altari?
di Piergiorgio Odifreddi
Blaise
Pascal può aspirare alla beatificazione? La questione è nata dal
confronto tra Eugenio Scalfari e papa Francesco pubblicato su Repubblica
di sabato scorso.
Scalfari si è rivolto a un papa che sembra poco
interessato alle questioni dottrinali e ai pronunciamenti ex cathedra, e
che per le sue dichiarazioni estemporanee è stato appunto spesso
accusato o elogiato, a seconda dei gusti, di «essere protestante».
Anzitutto,
parlando di Pascal bisogna ricordare di avere a che fare con un genio,
che all’età di soli sedici anni rivoluzionò la geometria dimostrando un
teorema su una strana configurazione che egli stesso chiamò “esagramma
mistico”, rivelando fin da subito una singolare propensione a mescolare
fra loro il diavolo della matematica con l’acqua santa della
spiritualità.
Un’attitudine che trovò in seguito la sua migliore
espressione nella famosa “scommessa”: l’idea, cioè, che conviene
credere, perché si rischia di meno che a non credere. Se infatti Dio non
esiste, si spreca una vita terrena di durata finita, ma se Dio esiste,
si guadagna una beatitudine eterna.
Ma bisogna anche considerare
che Pascal è ricordato in Francia come un padre della prosa, per quel
capolavoro che sono le Lettere provinciali: un testo che metteva alla
berlina i gesuiti, criticandoli raffinatamente su due fronti. Da un
lato, emergeva il loro pensiero contraddittorio e compromissorio a
proposito del pentimento, la confessione, l’assoluzione, la penitenza e
la comunione. E, dall’altro lato, veniva avanti il loro esplicito
tentativo di blandire gli intellettuali di riferimento dell’epoca per
arruolarli dalla loro parte.
Riletto oggi, quel pamphlet di Pascal
appare applicarsi quasi alla lettera alle posizioni del gesuita
Bergoglio sulla comunione ai divorziati, da un lato, e al suo rapporto
con i media, dall’altro, e difficilmente passerebbe il vaglio degli
“organi vaticani preposti”. Infatti, saggiamente, Scalfari fa
riferimento nella sua proposta non alle meno note Lettere provinciali,
ma ai più famosi Pensieri di Pascal, che definisce «un libro splendido e
religiosamente di grande interesse».
La cosa è sorprendente, da
un punto di vista letterario e intellettuale. I Pensieri non sono
infatti un’opera autografa di Pascal, ma una raccolta postuma che stupì e
imbarazzò persino i suoi più intimi amici e i suoi più appassionati
difensori. Il discepolo Pierre Nicole li definì «un’accozzaglia di
materiali indistinti, di cui non sono riuscito a intuire l’uso che
volesse farne l’autore». E lo storico ufficiale del giansenismo
Sainte-Beuve si domandò: «Non è che semplicemente ci troviamo di fronte a
un malato, un visionario, un allucinato? Pascal, insomma, non ha, nei
suoi ultimi anni di vita, smarrito la ragione?».
I Pensieri
contengono alcuni noti aforismi sparsi, ma presentano nell’insieme una
visione dell’uomo come un mostro incomprensibile a sé stesso, tormentato
dalla propria incomprensibilità, che cerca inutilmente di comprendersi
mediante le filosofie e le religioni non cristiane, e trova conforto
solo nell’interpretazione letterale e superficiale della Bibbia: una
visione integralista che, come notò già Voltaire, scandalizza i moderni.
Il
Pascal delle Lettere provinciali e dei Pensieri è l’antitesi di
Bergoglio. I matematici continueranno a mantenerlo sui piedistalli della
matematica e a ricordare i suoi geniali risultati di geometria, calcolo
infinitesimale e teoria della probabilità. Ma dubito che un papa
gesuita e la sua Chiesa gli permetteranno mai di salire sui loro altari,
e di venir additato ufficialmente come un esempio di ortodossia e di
santità.