martedì 4 luglio 2017

La Stampa 4.7.17
L’inevitabile rifiuto dell’Eliseo
di Stefano Stefanini

Il rifiuto di Parigi di far sbarcare i migranti dalla Libia nei porti francesi impedisce di ripartire «a mare» gli arrivi, come sperava l’Italia, ma non è un fulmine a ciel sereno. Non preclude il codice di condotta per regolare con criteri uniformi l’attività umanitaria delle navi delle Organizzazioni non governative (Ong). Dovrà essere approvato dall’Ue ma è affidato principalmente all’Italia, sulla base di un’intesa di massima con Berlino e Parigi.
Per quanto sensibile all’appello del Presidente del Consiglio, per quanto incoraggiato dalla Cancelliera tedesca, per quanto solidale con le angustie italiane, Emmanuel Macron non aveva altra scelta che dire di no a sbarchi in Francia. Proviamo a metterci nei panni del neo-eletto Presidente francese. Se anche avrà pensato per un attimo ad accettarli, tre fattori glielo rendevano politicamente impossibile: il 34% dei voti andati a Marine Le Pen; le ferite inferte alla nazione dal terrorismo, associato inevitabilmente alla provenienza nordafricana degli attentatori; l’apertura di una scorciatoia verso la Francia di cui i trafficanti sarebbero lesti ad approfittare. Anche la sua enorme popolarità si sarebbe dissolta di fronte all’immagine dell’attracco a Marsiglia di navi cariche di migranti, nel momento in cui egli investe il suo capitale politico nelle riforme di cui la Francia ha un grande bisogno.
Le aspettative destate da Macron come leader di un’Europa in rilancio non devono far dimenticare che egli è anche (soprattutto) il Presidente della Francia. Per quanto europeista, la sua prima responsabilità è nei confronti dei francesi che l’hanno eletto e il suo criterio guida non può non essere l’interesse nazionale. Farà del suo meglio per comporlo in un quadro d’integrazione europea e di conciliazione con i partner, come Italia o Germania, e spesso ci riuscirà. Ma non può accantonarlo.
La tensione fra genuina vocazione europea e forte senso nazionale è una costante francese. Macron ne è la versione contemporanea, più aperta dei suoi predecessori al resto del mondo e all’innovazione, più disponibile a cessioni di sovranità all’Ue, ma non fa eccezione. La duplice fisionomia francese, europea e nazionale, è sempre stata un problema nelle relazioni italo-francesi: per quanto convergenti possano essere le agende europee, spesso non lo sono gli interessi nazionali. Il rapporto oscilla, fra vicinanza geografica, simpatie e profonde affinità culturali, da una parte, e una dose di squilibrio, economico, politico e militare, a favore della Francia, dall’altra. Entrambi Paesi mediterranei - ma la Francia è anche atlantica. Ha una dimensione in più, in aggiunta ad una geografia interna più favorevole. L’Italia è abbastanza grande e intraprendente da sedersi a molti tavoli da pari a pari con la Francia - ma non a tutti. Siamo partner nell’Ue, alleati nella Nato, ma anche concorrenti.
Negli ultimi 70 anni è sempre stato possibile comporre le diversità franco-italiane grazie al quadro europeo e alla costante buona volontà dei due governi. Ma sarebbe un errore illuderci che non esistano o che possano essere affogate nel comune afflato europeo. Sia Roma sia Parigi (specie con Emmanuel Macron) vogliono (e hanno bisogno di) un’Ue forte. Per arrivarci dovranno limare i rispettivi approcci nazionali in una strategia in cui la somma finale sia maggiore degli addendi. Non in un giorno.
Questo vale anche per l’immigrazione. Il no francese, senz’altro insoddisfacente per Roma, è stato accompagnato da un’apertura sul numero di rifugiati (aventi diritto all’asilo), sbarcati in Italia, che Parigi è disposta ad accogliere e sulla loro provenienza. E’ un piccolo passo avanti specie perché riguarderebbe due nazionalità, eritrea e somala, che danno luogo a flussi consistenti verso l’Italia. Sta anche maturando una politica europea di rimpatri dei migranti economici, attraverso accordi di riammissione europei anziché nazionali. Era ora. Ma il risultato più importante è un codice di condotta delle navi Ong che introduca limiti (no all’ingresso nelle acque territoriali libiche) e monitoraggio (presenza a bordo di polizia italiana) per rompere il nesso, fortuito o meno, con i trafficanti.
Può l’Italia ritenersi soddisfatta? Non del tutto. L’obiettivo di una piena europeizzazione della questione immigratoria e di una ripartizione delle responsabilità d’accoglimento non è stato ancora raggiunto. Ma il governo ha imboccato la strada giusta. Il dibattito con Ue e con i partner, come Francia, Spagna e Germania, non finisce oggi. E’ importante continuarlo con un misto di fermezza e ragionevolezza.