La Stampa 12.7.17
Diseguaglianze d’Italia
di Mario Deaglio
Oltre
trecentomila famiglie italiane (l’1,2 per cento del totale) sono
«milionarie»: al di là dell’apparente sensazionalismo, questa stima
della ricchezza finanziaria del nostro Paese, dovuta al Boston
Consulting Group, una stimata organizzazione americana di ricerche sui
patrimoni, rientra nella più assoluta «normalità». È infatti del tutto
coerente con lo studio più recente, e di ben altra profondità, della
Banca d’Italia, che non ha scandalizzato nessuno, secondo il quale, nel
2014, il 20 per cento degli italiani più ricchi deteneva il 64,6 per
cento della ricchezza finanziaria (e il 20 per cento più povero solo l’1
per cento).
Oltre a non essere certo una novità, la disparità tra
ricchi e poveri sta aumentando in tutto il mondo – e in particolare nei
Paesi dai redditi più elevati - e in questo aumento l’Italia si colloca
all’incirca a metà classifica. A spingere l’aumento intervengono in
primo luogo motivi demografici: la ricchezza si concentra nell’età
anziana e il numero degli anziani, e quindi anche degli anziani ricchi,
cresce mentre la popolazione nel suo complesso è stazionaria. In secondo
luogo, i patrimoni finanziari hanno beneficiato della «bolla» di
quotazioni azionarie che va pericolosamente avanti ormai da diversi
anni.
Ciò che complica il discorso in Italia non è tanto la
concentrazione della ricchezza finanziaria quanto il suo impiego. Gli
anziani comprensibilmente scelgono impieghi almeno apparentemente
sicuri, come i titoli del debito pubblico; o addirittura lasciano i
risparmi in forma semiliquida, il che riduce la possibilità delle banche
di prestarli a chi vuol fare investimenti, creando posti di lavoro. Il
denaro rischia di ammuffire nei conti correnti mentre chi avrebbe
progetti su come impiegarli fatica trovare finanziamenti. A denaro
«ammuffito» corrispondono così una creazione insufficiente di posti di
lavoro e liste assurdamente lunghe di candidati ai concorsi pubblici. Lo
si è visto ieri a Genova, dove l’afflusso di migliaia di aspiranti a
una manciata di posti di infermiere alle prove concorsuali ha
addirittura bloccato il traffico; come a Roma, una quindicina di giorni
fa, a un concorso per lavorare alla Banca d’Italia.
Non ci sono
soluzioni facili a questo incancrenirsi del problema e soprattutto
nessuna forza politica lo affronta in maniera coerente e ragionata.
L’inasprimento fiscale di per sé rischierebbe di produrre il risultato
opposto, spingendo i capitali finanziari a tornare a «nascondersi».
Potrebbe forse essere incentivato il trasferimento di una parte delle
risorse famigliari alle generazioni più giovani, senza attendere che gli
anziani passino a miglior vita: sicuramente i giovani ne farebbero un
uso più dinamico e il ritmo della crescita aumenterebbe, creando più
numerose occasioni di lavoro. L’argomento è però accuratamente ignorato o
passato in secondo piano negli abbozzi di programma per le prossime
elezioni, oscurato dal discorso sulla tassazione delle case. E così le
diseguaglianze continuano a crescere e le code ai concorsi pubblici
continuano ad allungarsi.