La Stampa 10.7.17
Turchia, in piazza un fiume di no contro Erdogan
di Marta Ottaviani
Una marea umana a Istanbul
“Uniti contro il golpe di Erdogan”
Un
milione e mezzo alla Marcia per la giustizia. Il leader Kilicdaroglu:
siamo rinati Niente simboli di partito, ma solo bandiere. Curdi e
repubblicani: basta purghe
Se non è un miracolo, poco
ci manca. Il leader dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, ha vinto la
sua scommessa e non solo ha camminato per 25 giorni e 450 km, da
Istanbul ad Ankara, con un cartello con scritto «adalet», in turco
giustizia, ma lo hanno anche seguito in decine di migliaia. La Adalet
yürüyüsü, la Marcia per la Giustizia, è stata un successo, contro ogni
aspettativa. Il Gandhi della politica turca, come lo hanno ribattezzato i
quotidiani locali per la sua somiglianza con il leader indiano e i modi
miti, ha terminato ieri il suo cammino nella parte asiatica di
Istanbul.
Sulla spianata non lontano dal Mar di Marmara si è data
appuntamento una folla oceanica, di quelle che di solito porta in piazza
solo il presidente della Repubblica Erdogan. E invece stavolta sì, si
sono radunate, ma contro di lui.
La polizia ha stimato una
presenza di 1,6 milioni, gli organizzatori, legati soprattutto al Chp,
il Partito repubblicano del Popolo, laico, fondato da Mustafa Kemal
Atatürk, parlano di oltre due milioni. Gli uomini vicini al Capo dello
Stato hanno cercato di minimizzare, dicendo che erano poche decine di
migliaia, ma le foto lasciano poco spazio all’interpretazione. Si è
trattato di una folla numerosa e composita come non si vedeva dai tempi
della rivolta di Gezi Park, soffocata nella violenza nel 2013 e da dove
partì ufficialmente la deriva autoritaria di Erdogan.
«Hak, hukuk,
adalet», diritti, legge, giustizia. Lo hanno scandito per 25 giorni e
sotto un sole cocente, mentre attraversavano la strada che collega la
Turchia di oggi, la moderna Ankara, capitale della repubblica, a quella
di ieri, la millenaria Istanbul, alla quale Erdogan guarda con nostalgie
neo ottomane, ma da cui potrebbe partire un movimento di opposizione
pericoloso. Sotto il sole di Maltepe, c’erano tante Turchie con un
denominatore comune sempre più forte: l’ostilità al Capo dello Stato,
che pure, nel 2014, è stato eletto con il consenso popolare, e alla sua
riforma costituzionale, anche questa approvata tramite referendum lo
scorso 16 aprile, sotto una pioggia di polemiche su brogli e mancata di
libertà di stampa.
Negli ultimi giorni di cammino si sono uniti
alla marcia i curdi dell’Hdp e i movimenti femministi, fra le realtà più
vivaci della società turca. Una parte del Partito Nazionalista (Mhp),
ufficialmente alleato con Erdogan, ma con una corrente sempre più
insofferente al Capo dello Stato, ha fatto pervenire la sua solidarietà.
Anche per questo, Kilicdaroglu ha chiesto a tutti di partecipare solo
con foto di Atatürk, un cartello con scritto «giustizia» o una bandiera
turca. Niente simboli di partito, a sottolineare l’obiettivo di unire
nelle diversità più che andare avanti con le divisioni che per anni
hanno reso le opposizioni una delle garanzie del successo di Erdogan.
Il
«Gandhi della politica turca», che rappresentava l’incubo del
presidente anni fa, quando nelle commissioni parlamentari si occupava di
holding islamiche, ha percorso gli ultimi chilometri da solo,
raccogliendo un successo che è davvero solo suo. Nel suo discorso si è
tenuto distante da tutto quello che potesse fare fallire il suo
progetto, ossia dare una nuova vita all’opposizione. Non ha mai nominato
né Erdogan, né la minoranza curda. Ha dichiarato che la piazza di
Maltepe è contraria a tutti i tipi di terrorismo, incluso quello
curdo-separatista, e non ha risparmiato critiche a Gulen, l’ex imam,
«mente» del colpo di Stato del 15 luglio 2016. Ha bacchettato la
magistratura, ormai poco indipendente e succube dello strapotere del
Capo di Stato e parlato di «golpe civile» seguito a quello militare
fallito, con un chiaro riferimento alle purghe di Erdogan che hanno
coinvolto decine di migliaia di persone.
Alcuni analisti temono
che la manifestazione di ieri possa rimanere un caso isolato. Non la
pensa così Kilicdaroglu, che, davanti a una folla a cui non era
abituato, ha detto: «Il 9 luglio è la data della nostra rinascita». Da
Erdogan, da «il Palazzo», come lo ha chiamato lui, per il momento solo
silenzio. Secondo molti dettato da preoccupazione.