Il Sole 13.7.17
Pd-governo, Renzi nega divisioni
Duro scontro con Letta: «Avvicendamento voluto da minoranza Pd» - La replica: «Provocazioni disgustose»
di Emilia Patta
Roma
«Io voglio portare il Pd al 40%. La campagna elettorale? Durerà i
prossimi 7-8 mesi». Alla fine di una giornata dedicata interamente alla
presentazione del suo libro “Avanti”, in uscita proprio ieri nelle
librerie, Matteo Renzi rilancia così il suo obiettivo – eguagliare il
risultato delle europee del 2014 – durante la trasmissione televisiva
Bersaglio mobile. Ed è una frase, la sua, che dice due cose: si andrà a
votare con il sistema lasciato in piedi dalla Consulta e che prevede,
per la Camera, il premio di maggioranza per la lista che superi appunto
il 40%; la campagna elettorale per raggiungere quell’obiettivo è di
fatto già iniziata in questi giorni con il lancio del libro.
Anche
in questa chiave vanno lette le frizioni sotterranee tra il segretario
del Pd e il governo di questi giorni a proposito di quella che Renzi
considera la proposta più importante contenuta nel suo libro, anticipata
domenica scorsa dal Sole 24 Ore: una sorta di “patto di legislatura”
per la crescita che prevede il 2,9% del rapporto deficit\Pil per cinque
anni (ora è al 2,4%) in modo da avere più di 30 miliardi di euro l’anno a
disposizione per abbassare le tasse e spingere il Pil. Una proposta
forte, di rottura, che naturalmente ha provocato la reazione a dir poco
fredda di Bruxelles e l’imbarazzo del Mef, già impegnato a trattare con
Bruxelles i margini di flessibilità possibili per la legge di bilancio
autunnale. «È un progetto per la prossima legislatura», si sono
affrettati a precisare lo stesso Renzi e i ministri economici Pier Carlo
Padoan e Carlo Calenda. E il segretario del Pd, presentando in
mattinata il suo libro, ha voluto precisare che i rapporti con il
governo sono di fattiva collaborazione: «Non c’è alcuna divisione tra
l’azione del Pd e quella del governo. Non c’è oggi e non ci sarà per
tutti i mesi da qui a fine legislatura. Sui provvedimenti c’è totale
corrispondenza di vedute e pieno sostegno del Pd all’azione del
governo». Il progetto del deficit al 2.9 riguarda dunque la prossima
legislatura. E sullo ius soli in discussione in Senato, provvedimento
sul quale il governo chiederà la fiducia probabilmente già nel prossimo
Cdm di venerdì, la «sintonia» tra Palazzo Chigi e Largo del Nazareno -
si rimarca da entrambe le parti – è totale. Nessun tentativo da parte di
Renzi di forzare, dunque, ma la considerazione condivisa che,
trattandosi di un provvedimento a rischio impopolarità, è meglio
approvarlo prima della pausa estiva che troppo a ridosso delle elezioni.
Per
il resto il libro di Renzi, nelle parti che non sono state anticipate
nei giorni scorsi, cattura l’attenzione per la ricostruzione del
passaggio di consegne con Letta: «Accade semplicemente che il Pd decide
di cambiare cavallo. Lo fa dopo il voto alle primarie di due milioni di
persone e alla luce del sole. Nessuno di noi ha ordito complotti
segreti, ma si è presa una decisione perché quel governo non si muoveva.
Non è un caso se nessuno ricorda un solo provvedimento degno di questo
nome in un anno di vita di quell’esecutivo , se escludiamo l’aumento
dell’Iva il 1° ottobre 2013. Quello che per mesi commentatori
compiacenti hanno definito in modo brutale “complotto” ha un nome più
semplice: si chiama democrazia», scrive Renzi sottolineando come la
“defenestrazione” di Letta fu decisa in primis dall’allora minoranza del
Pd guidata da Roberto Speranza e Gianni Cuperlo. Nessun golpe, dunque,
mentre Letta reagisce «in modo infantile, mettendo il broncio». Una
ricostruzione che naturalmente non piace al diretto interessato: «Sono
convinto che il silenzio esprima meglio il disgusto e mantenga meglio le
distanze - dice Letta - . E non saranno queste ennesime scomposte
provocazioni a farmi cambiare idea».
Né manca, nel libro di Renzi,
il capitolo sulle banche e sul ruolo svolto da Bankitalia. Con un
passaggio, in particolare, che ha suscitato un certo «stupore» dalle
parti di Via Nazionale dal momento «he si è sempre lavorato insieme».
Eccolo: «Quando arriviamo a Palazzo Chigi il dossier banche è uno di
quelli più spinosi. Ci affidiamo quasi totalmente alle valutazioni e
alle considerazioni della Banca d’Italia, rispettosi della solida
tradizione di questa prestigiosa istituzione. E questo è il nostro
errore, che pagheremo assai caro dal punto di vista della reputazione
più che della sostanza».