il manifesto 8.7.17
Il Museo della Resistenza di Torino rischia la chiusura
Memoria
. Finanziamenti ridotti e ritardi nell'erogazione di quelli del
passato. Nel frattempo appelli e un crowdfunding per scongiurare la
chiusura
di Luciano del Sette
Il rischio più
grande è quello di una lenta agonia. Esordisce così Guido Vaglio,
direttore del Museo Diffuso della Resistenza di Torino. Da un paio di
settimane, intorno al museo, si sono diffuse voci di una possibile
chiusura, cui sono subito seguiti appelli, firmati, tra gli altri, da
Gustavo Zagreblesky, Marco Revelli, Aldo Agosti, Luciano Violante. Il
perché, almeno in apparenza, sembra rientrare in un copione ormai
classico quando ha come soggetto le istituzioni culturali e la cultura
in generale. Sopra ogni altra cosa i contributi pubblici, puntualmente
in ritardo e progressivamente tagliati. Ma nello specifico, altri
problemi complicano il quadro.
IL MUSEO, allestito in uno dei due
palazzi dei quartieri Militari progettati a inizi Settecento da Filippo
Juvarra, apre i battenti nel 2003 su iniziativa del comune. Nel 2006
nasce un’associazione di cui fanno parte comune, provincia, regione,
Istituto Storico della Resistenza e Archivio Cinematografico della
Resistenza. Il finanziamento istituzionale annuo erogato ammonta a cento
e sessantamila euro, ai quali si sommano affitto e utenze gratuiti,
accanto a ottantamila euro dalla Compagnia di San Paolo. Ad aprile 2016
viene inaugurato, nel secondo palazzo dei Quartieri, il Polo del
Novecento, che raduna diciannove realtà, tra di esse l’Anpi, L’Istituto
Gramsci, il Centro Piero Gobetti. Restauri e lavori sono finanziati per
intero dalla Compagnia. Si volatilizzano, di conseguenza, gli
ottantamila euro destinati al museo. Tagli e ritardi (la Regione è
debitrice delle quote 2015 e 2016) hanno portato i conti in rosso, fino a
esaurire il fido bancario e a mettere a repentaglio gli stipendi dei
dipendenti. Questo nonostante l’intervento della giunta Appendino, pochi
giorni fa. Ma, afferma Vaglio, le difficoltà non sono solo di carattere
economico: «Abbiamo posto ai soci fondatori il problema del mandato
politico che il museo ha. Vorremmo che si pronunciassero sui progetti di
sviluppo. L’attuale mancanza della piena operatività del Polo del
Novecento ha determinato una situazione di stallo, che ricade anche su
di noi. Infine, c’è un problema di sovrapposizione di ruolo e funzioni».
Intanto, al museo sono stati tolti lo spazio per le mostre temporanee e
la sala conferenze, poiché queste attività sono divenute prerogative
del Polo.
ESISTE UNA VIA D’USCITA? «La proposta, per altro
concordata con Comune e Regione, sarebbe di una nostra integrazione
all’interno del progetto globale. Nonostante il pubblico via libera e le
promesse del Polo di convocare un tavolo di confronto politico e
tecnico, tutto è fermo».
Stanno invece facendo qualcosa di
concreto i torinesi. La sottoscrizione lanciata dal museo sul web ha
raccolto in brevissimo tempo dodicimila euro. Un segnale forte di
solidarietà, un no deciso alla chiusura di un luogo che difende memorie
sempre più fragili. Evocate ormai soltanto nella retorica delle
cerimonie da calendario.