il manifesto 6.7.17
Se la psicanalista vuole essere dea. Un gioco di doppi tra le ossessioni
Serie tv. «Gypsy», la nuova serie targata Netflix di Lisa Rubin
di Mazzino Montinari
Lisa
Rubin, al suo esordio come autrice di una serie, si è affidata a una
narrazione tradizionale, scegliendo un percorso lineare nel quale i
diversi elementi si mescolano senza disorientare lo spettatore, come ad
esempio accade in tutto Twin Peaks.
Con il prodotto di David
Lynch, Gypsy (visibile su Netflix) condivide la presenza di Naomi Watts,
qui protagonista indiscussa di un racconto a tinte noir dove erotismo e
ricerca/perdita dell’identità agitano i diversi personaggi.
L’attrice
che in Mulholland Drive era Betty e Diane, anche in Gypsy si sdoppia,
ma in questo caso la Jean Holloway, psicologa, moglie innamorata e madre
di una figlia che vorrebbe essere un maschio, assume con piena
consapevolezza l’identità di Diane, già ancora lei (!), per frequentare
le persone che rappresentano l’ossessione dei suoi pazienti, e quindi
per governare i fatti come una dea capricciosa.
«Ho sempre pensato
che le persone determinassero la propria vita», dice Jean all’inizio.
Ma, riconosce l’analista, c’è qualcosa che si oppone: l’inconscio.
Forse, però, esiste un’altra forza ancora più potente: la presenza degli
altri. Entrare in contatto con il prossimo rende imprevedibile l’esito
di ogni intenzione. Impedisce a una dea capricciosa di mettere ordine,
irretendola nel gioco delle parti, perché anche lei è una tra gli altri.