il manifesto 4.7.17
Sinistra, la lista unita si può ancora fare
Sinistra.
E la legge elettorale aiuta a scansare il rischio di essere minoritari o
integrati. Parlare di centrosinistra crea solo disorientamento. Non c’è
più alcun «campo» che possa definirsi così perché Renzi ha privato il
Pd di qualsiasi sistema di alleanze. D'altra parte si deve dichiarare da
subito la totale disponibilità a mettersi in gioco, dopo le elezioni,
per contrattare il possibile programma di governo. Per rispondere a chi
teme una deriva minoritaria
di Antonio Floridia
Dopo
il Brancaccio e Santi Apostoli, sono aumentate o stanno diminuendo le
possibilità che, alle prossime elezioni, si possa presentare una lista
unitaria di sinistra sorretta da un progetto credibile?
Non
bisogna nascondersi la realtà: molti non ci credono, e non pochi
lavorano perché queste possibilità svaniscano. L’idea che si fa strada –
un po’ per rassegnazione, un po’ per convinzione – è che sia
inevitabile una divisione: tra una sinistra-sinistra, da una parte, e
una sorta di neo-ulivismo, dall’altra.
Pesa anche l’incertezza
circa le regole elettorali con cui andremo al voto: e forse qualcuno
accarezza l’idea che una soglia al 3% possa facilitare questa sorta di
divisione del lavoro. Ma è una illusione che tutti rischiano di pagare
caro. Vediamo i termini essenziali della questione.
È CONVINZIONE
comune che una prospettiva unitaria si possa fondare solo una
piattaforma programmatica condivisa. Bene. I richiami ascoltati al
Brancaccio sulla Costituzione come asse politico-culturale e
programmatico della sinistra, i discorsi di piazza Santi Apostoli
(soprattutto quello di Bersani) sulla radicale discontinuità con le
politiche seguite dal Pd renziano, sono una buona base di partenza:
lotte alla diseguaglianze, diritti e dignità del lavoro, politiche
economiche neo-keynesiane, difesa dell’universalismo dei diritti alla
salute e all’istruzione, valorizzazione dei beni comuni.
Ciò che
crea divisioni sono i discorsi sulle prospettive politiche e di
schieramento. Ma su questo punto, oltre a differenze reali, ci sono
anche molte ambiguità che è possibile eliminare. Qualcuno – nell’area
Pisapia e Mdp tende ancora a parlare di «centrosinistra»: ma cosa
intende? Una qualche coalizione preventiva? A parte il fatto che la
legge elettorale probabilmente non imporrà nulla in questo senso, è
evidente come questa prospettiva sia sempre meno credibile e
sostenibile.
Troppo stridente il contrasto con i giudizi sulle
politiche del Pd renziano e con la discontinuità che pure viene evocata.
Si ha l’impressione che questo richiamo (peraltro, in sé, sempre meno
attrattivo e mobilitante) sottenda la preoccupazione di non appiattire
la nuova offerta politica entro i confini ristretti delle forze che
tradizionalmente si sono collocate a sinistra del Pd. Preoccupazione
sacrosanta, che però non viene fugata dalla genericità di un richiamo ad
un «centrosinistra» che, oggi, non esiste; non esiste alcun «campo»
pre-definito che si possa definire tale.
E non esiste perché
radicale è stata la rottura maturata in questi anni tra le scelte di
governo, e prima ancora la cultura politica, del Pd renziano, e tutto
ciò che può essere ricondotto ad una qualche idea di sinistra. Radicale è
stato anche il distacco dai mondi sociali che della sinistra dovrebbero
costituire il naturale punto di riferimento.
ESISTE UN ELETTORATO
di sinistra disperso e silenzioso, che avrebbe bisogno di trovare nuovi
punti di riferimento e nuovi motivazioni, anche solo per tornare a
votare. Ed esiste un partito di centro, il Pd, che il suo leader
megalomane ha privato di un qualsiasi sistema di alleanza, e che tende a
guardare a destra. In queste condizioni, parlare ancora di
centrosinistra crea solo incertezza e disorientamento. E del resto (come
ha fatto notare giustamente D’Alema all’assemblea romana di Mdp), che
senso avrebbe avuto una scissione, se si pensa di ritrovare una base
politica comune? Le prossime elezioni saranno un terreno di scontro
molto aspro: solo dopo, a conti fatti, si potrà vedere se e come saranno
possibili accordi e mediazioni.
A questo punto, qualcuno obietta:
si rischia una sinistra di testimonianza, minoritaria, destinata
all’irrilevanza. È un rischio, certo, ma può essere scongiurato. Una
lista unitaria della sinistra si deve caratterizzare per un suo
orizzonte ideale e per un suo programma di governo; ma anche per una
precisa opzione politica: dichiarare apertamente la piena disponibilità a
mettere in gioco la forza che gli elettori le vorranno dare per
contrattare un possibile programma di governo (qualora, ovviamente, ce
ne siano le condizioni numeriche). Questa disponibilità non deriva solo
dalla probabilità che un nuovo governo possa formarsi solo sulla base di
accordi in parlamento: è una strategia politica che si rivolge agli
elettori del Pd e del M5S per incalzare queste forze politiche e
metterne a nudo le ambiguità. Ed è un atteggiamento politico in grado di
esprimere una proiezione egemonica, evitando il pericolo di un
auto-confinamento in una posizione minoritaria e ininfluente.
MOLTI
SI RICHIAMANO all’esempio positivo di Padova. Ma, appunto, è un caso
che dimostra come la famosa «doppia cifra» si può raggiungere a due
condizioni, una proposta autonoma e originale e un messaggio forte agli
elettori: ci siamo, vogliamo governare, e non abbiamo timore di mediare e
contrattare con altre forze (come dimostra l’alta partecipazione al
voto e l’esito del ballottaggio, l’elettorato che si è riconosciuto
nella coalizione civica padovana non ha per nulla esitato
nell’esprimersi a favore di una coalizione, costruita dopo il primo
turno).
Il sistema politico italiano sta cambiando rapidamente. È
saltato lo schema che voleva ingabbiare tutto in un astratto e
artificioso bipolarismo. Le culture politiche degli italiani si
esprimono già attraverso una più articolata distribuzione lungo l’asse
destra-sinistra: una destra xenofoba e nazionalista, una destra
conservatrice, un’area centrista moderata (forse), un partito di centro
(il Pd), una (potenziale) area di sinistra. E poi, naturalmente, il M5S:
una forza politica che finora ha goduto di una comoda rendita di
posizione, catalizzando le più svariate ragioni di risentimento sociale,
ma che – in un diverso scenario competitivo – non è detto riesca a
mantenere queste caratteristiche.
In tale contesto, attardarsi a
parlare di coalizioni preventive non ha senso. Ancor meno senso ha, come
ha fatto Prodi, invocare sistemi elettorali che le prevedano, per
evitare la «frammentazione», come se non fossero stati proprio i sistemi
maggioritari a esaltare il potere di veto dei piccoli gruppi (e Prodi
dovrebbe saperlo!). No, è tempo di tornare ad offrire agli elettori
proposte politiche chiare, con una loro identità e autonomia. Una lista
unitaria non è un escamotage per aggirare le soglie: è una
precondizione, necessaria anche se non sufficiente, perché l’elettorato
di sinistra possa tornare a sperare di avere una voce.