sabato 8 luglio 2017

Il Fatto 8.7.17
Contrada aiutò Cosa Nostra, ma non sapeva fosse reato
Per la Cedu e ora per la Cassazione, prima del ’92 il concorso esterno non era chiaro: “Ineseguibile ogni effetto penale”
di Giuseppe Lo Bianco

Bruno Contrada non doveva essere processato per concorso esterno in associazione mafiosa, nel ’92 il reato non era chiaro e nessuno poteva prevedere la sua evoluzione normativa: ribaltando la decisione della Corte d’appello di Palermo che aveva dichiarato inammissibile il ricorso, la Cassazione rende “ineseguibile e improduttiva di ogni effetto penale” la condanna all’ex numero 3 del Sisde applicando una sentenza della Corte europea. E, siccome tra carcere e arresti domiciliari, Contrada ha finito di scontare la pena, adesso può chiedere la cancellazione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, dell’iscrizione nel casellario giudiziale e anche la restituzione della pensione: per lui, inoltre, adesso è escluso che in un eventuale, successivo, procedimento penale gli venga contestata la recidiva.
Saranno le motivazioni, depositate tra qualche mese, a chiarire fino a che punto può vacillare il concorso esterno, indicando i motivi del recepimento della pronuncia europea atteso con speranza, adesso, da decine di politici condannati per concorso esterno ai quali, quelli almeno che hanno avuto contestato il reato prima del ’94, la pronuncia della Suprema Corte alimenta la prospettiva di una ineseguibilità. E se Contrada canta vittoria (“contro di me solo invenzioni di efferati criminali pagati dallo Stato”) e per il suo avvocato Vittorio Manes questa decisione gli “restituisce quantomeno la dignità”, in realtà per l’ex funzionario del Viminale sospettato di avere avuto un ruolo torbido in numerose vicende oscure è una vittoria a metà: la sentenza cancella la pena ma non i fatti contestati (e processualmente accertati) e non revoca il giudizio di responsabilità sui quei fatti, visto che si limita a prendere atto di una pronuncia europea sul rispetto di un principio giuridico fondamentale, e cioè che nessuna pena è irrogabile se non in forza di una legge. E il primo a comprenderlo è stato un giovane avvocato esperto di norme europee, Stefano Giordano, figlio del presidente del maxi-processo a Cosa nostra Alfonso, che su Facebook ha incassato le “entusiastiche congratulazioni” del padre: a lui si deve infatti il cambio di rotta che ha dato fiato alle aspirazioni di riabilitazione di Contrada, dopo che tre istanze di revisione presentate dai suoi legali erano state dichiarate inammissibili.
“Giustizia è fatta, è stata eliminata ogni macchia da un grande servitore dello Stato” ha detto a caldo Giordano, il primo a suggerire l’incidente di esecuzione, dopo che nel 2015 la Corte europea aveva sancito che il 110 e 416 bis non poteva essere contestato: nel ’92 il reato ancora non era chiaro.
Alla scelta dei pm della Procura di Palermo (poi avallata dai successivi giudici di merito e di legittimità) i giudici di Strasburgo contestavano un “difetto di prevedibilità”, visto che le condotte ipotizzate a carico di Contrada risalivano a un periodo tra il 1979 e l’88, e che la configurabilità del concorso esterno era stata riconosciuta per la prima volta dalla Cassazione nel 1987. Una configurabilità “ballerina”, più volte smentita dalla giurisprudenza della Suprema corte e poi stabilizzata dalla sentenza Demitry delle Sezioni Unite nel 1994. Ottenuta la vittoria in sede europea, i legali di Contrada avevano chiesto la revoca della condanna alla Corte di appello di Palermo, che nel settembre dello scorso anno aveva risposto picche, dichiarando l’istanza inammissibile: il giudice italiano è soggetto soltanto alla legge e non è certo un “mero esecutore dei dispostivi della Corte Edu” – avevano sostenuto i giudici di appello, riconoscendo all’incidente di esecuzione un’efficacia solo nel caso di riconosciuta illegittimità costituzionale della norma incriminatrice.
Dopo avere guidato la Squadra Mobile di Palermo negli anni 70 e avere lavorato a fianco di Boris Giuliano, Bruno Contrada è passato all’Alto commissariato per la lotta alla mafia e poi al Sisde, diventandone in breve tempo il numero 3. Venne arrestato alla vigilia di Natale ’92 chiamato in causa dalle accuse di numerosi pentiti che lo indicavano come una talpa di Cosa nostra all’interno della Mobile negli anni 80, vicino al boss Rosario Riccobono. Poco prima di finire in carcere, nell’estate ’92 firmò un’informativa sulle parentele del picciotto della Guadagna Vincenzo Scarantino, protagonista del clamoroso depistaggio, avvalorandone il ruolo nella strage di via D’Amelio. Venne poi condannato a dieci anni di reclusione, interamente scontati.