Il Fatto 7.7.17
Cari lettori, su Renzi è solo colpa vostra
di Andrea Scanzi
Cari
lettori del Fatto Quotidiano, e in quanto tali persone criminose e
sommamente empie, ammettetelo: “preferite” Berlusconi a Renzi. Certo, la
frase è in sé un nonsense: essendo la stessa cosa sarebbe come dire
“preferite la mela alla mela”, il vino al vino o Michelle Pfeiffer a
Michelle Pfeiffer. Per questo andremo oltre, asserendo che – in un
parossismo di nequizia – “preferite” financo Salvini a Renzi. D’accordo,
la prospettiva non è allettante. Sarebbe più o meno come scegliere tra
un concerto dei Modà a Radicofani, pagando 800 euro per vederlo da una
panchina di chiodi, e un film di dodici ore sulla vita di Nardella,
magari con la regia di Valerio Scanu e la colonna sonora (unplugged
xilofono solo) di Vecchioni. Fortuna che esiste l’astensione:
probabilmente, tra Berlusconi e Berlusconi (cioè Renzi) o tra Salvini e
Renzi, ve ne stareste a casa. Come non capirvi. Eppure, se vi
costringessero con una pistola o una Picierno alla tempia, è tutto da
dimostrare che correreste in soccorso del Pd “per scongiurare il trionfo
della destra”. Già solo questo dimostra come il “Postulato di Don
Zucconi”, secondo cui Renzi sia da votare in quanto “alternativa unica
al populismo”, venga rispettato giusto nella redazione di Repubblica (e
neanche all’unanimità).
Voi direte: “Eh, ma a Milano ha vinto Sala
proprio in quanto meno peggio dei berlusconiani”. Vero, anche se
andrebbe premesso che Sala è più berlusconiano di Parisi. Una Milano non
fa però primavera, ed era comunque un anno fa. Pensate alle ultime
amministrative: in molte roccaforti di sinistra o quasi-sinistra, ha
vinto (di colpo?) il centrodestra. Come si spiega? Con candidati meno
respingenti, certo. Ma pure con quello che è il “Fattore MSSC”. Alberto
Ronchey aveva codificato il Fattore K. Con Renzi siamo oltre. Edoardo
Novelli ha parlato su queste pagine di “Fattore A”: fattore Antipatia.
Di più: ormai siamo al Fattore MSSC, acronimo di “Mi Sta Sul” (la “C”
potete immaginarla). Ecco il vero capolavoro di Renzi e derivati: avere
raggiunto un grado così elevato di antipatia da far sembrare chiunque –
ma proprio chiunque – migliore di loro. Martedì scorso In onda ha
mostrato su La7 un sondaggio: in neanche tre anni, Renzi è sceso nel
gradimento italico dal 61 al 27%. È ancora “il più amato tra i
politici”, a conferma di come ci sia speranza per tutti (tranne che per
l’Italia), ma la sua è una slavina. In studio c’era il rutilante Rosato,
con quei bei capelli pittati a caso con l’Uni Posca: ha provato a
negare la piena veridicità del sondaggio, confermandone dunque la totale
valenza. Renzi sta dimostrando una capacità prodigiosa di dilapidare un
consenso tanto immeritato quanto labilissimo. Già con Veltroni e poi
Bersani, con la contemporanea crescita del M5S, stava venendo meno la
favoletta del “meno peggio”: i delusi di sinistra, lentamente,
cominciavano a staccarsi dal Partito Democratico. Chi non votava più,
chi si affidava ai Pizzarotti, chi si iscriveva al Fan Club del
Cinghiale Babirussa. Ora, con Renzi, siamo alla leggenda: ai
ballottaggi, quando non si astengono, tanti elettori non berlusconiani
accorrono in massa a votare. Con l’unico intento di sfanculare Renzi.
Per carità, non capita sempre: parliamo di una tendenza, non di una
regola ferrea. Non asseriamo poi che tutto questo sia condivisibile: ci
limitiamo a dire che sta accadendo. Sempre di più. Più i
Fiano&Romano affollano il piccolo schermo, più crescono i
detrattori del Pd. Vale per quasi ogni renziano mediaticamente noto, sia
esso ministro, parlamentare o supporter: in confronto a loro, Mara
Carfagna assurge a Nilde Iotti. Gran bella impresa. Nel 2014 Renzi ha
vinto le Europee: da allora, il diluvio. Sconfitta al 2015, con
candidate-Tafazzi tipo Moretti e Paita che hanno trasformato Zaia in
Adenauer e Toti in Churchill. Emblematico il caso Arezzo, città (anche)
della Boschi: la ministra, allora intoccabile o quasi, benedisse un
ameno Playmobil dal carisma diversamente fiammeggiante che andava in
tivù garantendo (minacciando) di governare dieci anni. Epico il
risultato: al ballottaggio una flotta di aretini di sinistra, pur di non
avere quello lì sindaco, votò in massa il candidato berlusconiano. E ne
festeggia tuttora la vittoria. Sensazionale pure il 2016: prima Roma e
Torino, poi la Waterloo sublime del 4 dicembre. Ancora schiaffoni nel
2017. Un calvario tragicomico e continuo. Come si spiega? Con la
smisurata pochezza di Renzi. Con la natura centro-destrorsa di questo
paese. Ma è anche e soprattutto colpa vostra, cari lettori sfascisti del
Fatto: quello lì vi sta così sui zebedei che, pur di vederlo perdere,
votereste qualsiasi cosa. Un rododendro. Un pisciacane. Persino un
Gasparri. Ammettetelo.
(P.S. Su Gasparri scherzavo).