giovedì 13 luglio 2017

Corriere 13.7.17
Renzi accusa Letta di «vittimismo» «Non fu un golpe, lo chiese il Pd»
Il segretario: lo voleva Speranza. Poi attacca Bankitalia e 5 Stelle. «Gli italiani decideranno il mio futuro»
di Maria Teresa Meli

ROMA U n messaggio che riguarda il futuro: «Io non vivo affatto ossessionato dall’idea di tornare a Palazzo Chigi. Torno? Non torno? È l’ultimo dei miei pensieri. Lo decideranno gli elettori, non gli editorialisti. I voti degli italiani, non i veti dei partitini». Matteo Renzi presenta il suo libro, Avanti , al museo Maxxi di Roma, e si impegna per l’intera giornata in una maratona promozionale, tra Bersaglio Mobile di Enrico Mentana su La 7 e Agorà su Rai Tre. I giornali lo dipingono come un uomo roso dalla voglia di tornare alla guida dell’Italia a tutti i costi, anche con Forza Italia, ma lui non ci sta: «Come si può immaginare che noi facciamo un governo con Berlusconi?», dice a Mentana. Offre anche un’anticipazione della campagna elettorale che farà: sarà «no Tar». E annuncia che il 3 agosto il Pd riunirà «alcuni professori per studiare le questioni relative al Fiscal compact e al deficit italiano», perché il partito vuole preparare una proposta seria e non all’insegna dell’improvvisazione.
Letta e il «golpe»
Ma è del passato — per quanto recente — che in realtà il segretario del Pd ha voglia di parlare. Intende sfatare il mito del complotto contro Enrico Letta. Ne accenna nella conferenza stampa e ne scrive abbondantemente nel libro: «Accade semplicemente che il Pd decide di cambiare cavallo, lo fa dopo il voto alle primarie di due milioni di persone alla luce del sole. Nessuno di noi ha ordito complotti segreti, ma si è presa una decisione perché quel governo non si muoveva». Dunque, racconta il segretario, «il giorno dopo il netto successo ai gazebo sarà la minoranza interna — primo fra tutti l’allora capogruppo Roberto Speranza — a propormi di prendere in mano il timone. “Matteo così non andiamo da nessuna parte. Hai vinto le primarie, rilancia tu il Paese, andando a governare”». E quel «cambio di cavallo» fu deciso anche dall’allora presidente della Repubblica: «Quando Napolitano mi invita a cena — scrive — capisco che ha deciso di rispondere alle sollecitazioni non solo del Pd ma di tutti quelli che gli chiedono un cambio in corsa». Perciò, spiega Renzi, Letta non è stato «usurpato di chissà quale investitura democratica», visto che «la sua designazione nel 2013 non era stata decisa da alcun organismo di partito o voto popolare: l’unica volta in cui Enrico si era candidato alle primarie nel 2007 aveva raccolto la miseria dell’11% di voti. Più o meno la stessa percentuale di Civati qualche anno più tardi».
Il segretario ricorda anche il passaggio della campanella a Palazzo Chigi: «Letta entra in modalità broncio», già perché, scrive il leader del Pd, «ci sono intere carriere costruite sul vittimismo anziché sul risultato». E a proposito di risultato Renzi ne concede solo uno (negativo) al suo predecessore: «Nessuno ricorda un solo provvedimento degno di questo nome in un anno di vita di quell’esecutivo, se escludiamo l’aumento dell’Iva il 1° ottobre del 2013».
Il caso banche
Ma di sassolini il segretario d el Pd ne ha molti altri. Una fake news per lui è anche quella che lo dipinge come «l’amico delle banche». Che a lui, confessa, stanno pure «antipatiche». Quindi racconta che quando lui e i suoi andarono al governo, rispetto alla situazione del sistema bancario, si affidarono «quasi totalmente alle valutazioni di Bankitalia, rispettosi della solida tradizione di questa prestigiosa istituzione». «E questo — confessa — è il nostro errore, che pagheremo assai caro dal punto di vista della reputazione, più che della sostanza». Quindi, in conferenza stampa, Renzi ammette: «Forse con il senno di poi sarebbe andata in modo diverso se avessimo creato un team ad hoc nostro».
Politica e famiglia
Di frecciate ce ne sono anche per Pisapia, che «fu uno di quelli che remarono contro l’Ulivo». O per il ministro della Giustizia Orlando («Quando persone che hanno fatto parte della meravigliosa esperienza dei mille giorni prendono le distanze da ciò che abbiamo fatto insieme, non stanno facendo del male a me, ma alla loro credibilità») e per il «pregiudicato» Grillo e i Cinque Stelle: «Da padre sono preoccupato che vada a gestire la politica estera chi ha dubbi sull’allunaggio e dice che il Venezuela deve fare la mediazione in Libia».
Non c’è solo la politica, però, nel libro del segretario del Pd. C’è anche la famiglia. I figli. E Agnese, che «c’è sempre stata». Che si è adattata a vestire i panni della first lady e a subire critiche e accuse per il solo fatto di essere la moglie di Renzi. Tanto che a un certo punto ha dovuto cancellarsi da Facebook e da Twitter.