Corriere 10.7.17
«Serve un piano per il Paese con una squadra ampia Renzi apra alla condivisione»
Il ministro Calenda: io in campo? Devo finire il mio lavoro
Meglio avere i parametri Ue che le mance elettorali
di Daniele Manca
«Sulla
questione deficit abbiamo discusso tanto in passato con Renzi». Carlo
Calenda non si tira indietro. Ma da ministro dello Sviluppo economico sa
che c’è di mezzo l’Europa. Il governo. La politica. Tirato per la
giacchetta (più a destra che a sinistra, sicuramente dal centro che vede
in lui un possibile leader), ci tiene a marcare la differenza con gli
altri esponenti politici. Vuole tenersi stretta quell’etichetta di
tecnico che semmai sta imparando la politica. E quando gli si chiede di
Draghi, Marchionne, anche qui, marca le differenze. Misura le parole, le
scrive, le legge. Vuole sentirsele ripetere. «Negli ultimi mesi in
Italia, tutto diventa slogan, non dibattito costruttivo».
Sarà pure così ma sul deficit…
«Per
rendere il debito sostenibile, e recuperare coesione sociale,
diminuendo i divari che continuano ad aumentare nonostante la crescita
superiore alle attese, l’Italia deve crescere almeno al 2% e generare
più occupazione e investimenti».
D’accordo, ma il leader del
partito di maggioranza che tiene in piedi il governo ha fatto una
proposta precisa: deficit al 2,9 per 5 anni, recuperiamo 30 miliardi e
ci finanziamo il taglio delle tasse.
«Aumentare il deficit è un rischio che possiamo correre solo a tre condizioni».
Allora è d’accordo?
«Mi
faccia finire. La prima condizione è che le risorse liberate vengano
concentrate sugli investimenti, la produttività e interventi organici
sulle situazioni di reale emergenza sociale».
Lo dicono tutti…
«Mica
tanto, qui tutti parlano di tagli fiscali a pioggia e meno bollo auto
mi pare. Invece tutta la credibilità di questa proposta dipende
dall’orizzonte che si ha. La strada per la prosperità in Italia passa
dall’aggancio definitivo alla domanda internazionale. Oggi l’export va
benissimo ma sono ancora poche le aziende che esportano. Dobbiamo
passare da un rapporto tra esportazioni e Pil vicino al 30% al 50, come
fatto dalla Germania grazie alle riforme iniziate da Schröder. Vorrebbe
dire in sostanza importare in Italia i tassi di crescita del mondo
mettendoci su un percorso stabile di sviluppo».
Guardi che al Nord questo sta accadendo. E il successo di alcune forze come la Lega ma anche Forza Italia interpreta tutto ciò.
«Certo,
un pezzo di Paese è ripartito alla grande ma se il resto non seguirà ci
sarà un ulteriore scollamento, con il rischio del riemergere di una
questione settentrionale che in autunno potrebbe ritrovare anche una
dimensione politica».
E allora?
«Per evitare lo scollamento
dobbiamo lavorare sulla produttività del sistema utilizzando le risorse
per abbattere il cuneo fiscale e favorire nuove assunzioni,
defiscalizzare la produttività del lavoro e gli investimenti, varare un
piano sulla formazione professionale e rafforzare un ammortizzatore
universale contro la povertà. I dati sulla vendita di macchinari
aumentati di quasi il 30% dimostrano che la strada giusta è premiare le
imprese che investono».
Capisco voglia difendere il suo operato, ma se bastasse solo Industria 4.0…
«Figuriamoci,
nessun trionfalismo, il merito è delle imprese, ma ritengo gli
investimenti prioritari su tutto. Vanno sviluppate anche politiche
settoriali potenti su energia, life sciences , dove possiamo prendere la
leadership del settore che crescerà di più nei prossimi anni, e turismo
e cultura, che rappresentano l’export per commercianti, settore
alberghiero e città».
Ma non è che se diciamo tutto questo a
Bruxelles ci stendono tappeti rossi. Sono anni che lo affermiamo. Poi il
debito è quello che è, chiediamo flessibilità…
«Infatti la
seconda condizione è riprendere vigorosamente la strada delle
privatizzazioni e dell’abbattimento del debito. Al di là di Bruxelles e
del Fiscal compact, dobbiamo convincere chi il debito lo deve comprare
anche in vista della riduzione degli stimoli della Bce».
Appunto, ma come facciamo a rassicurare gli investitori se ogni due per tre stiamo a inventarci strategie legate ai decimali?
«Per essere credibili dobbiamo mettere in atto la terza condizione: continuare con le riforme».
Certo, mancavano le riforme… ma quali sono queste riforme?
«Concorrenza,
diritto fallimentare, politiche attive, lavoro 4.0 e rafforzare quella
della Pa. Otterremo spazi di manovra solo se ci mostreremo decisi a
proseguire e accelerare sul percorso iniziato. Nella prossima
legislatura dobbiamo poi varare una clausola di supremazia che consenta
di superare i veti locali quando in ballo c’è l’interesse nazionale».
Basterà?
«Sì,
se prima di dichiarare quanto deficit vogliamo prenderci, chiariamo
cosa vogliamo farci. Esattamente come per un’azienda che fa ottimi
prodotti ma che è stata gestita male ed è troppo indebitata, l’Italia
deve presentare prima un “piano industriale per il Paese” dettagliato e
credibile e poi, solo poi, andare a chiedere spazi ai finanziatori».
Ma in Europa sanno che in primavera si vota…
«Immagino
che la proposta di Renzi riguardi la prossima legislatura. E comunque
se domani o fra un anno prendessimo la strada dei tagli fiscali a
pioggia o delle mance elettorali, o ancora, se mentre proponiamo di
aumentare il deficit rallentiamo le riforme, penso alla concorrenza, o
le privatizzazioni, leggi Poste, beh allora meglio tenersi al sicuro nei
parametri europei».
Niente deficit al 2,9, quindi, in questo caso…
«Credo
che Renzi debba aprire una discussione ampia sul cosa oltre che sul
quanto, chiudendo definitivamente la fase della rottamazione e aprendo
quella della condivisione e della progettualità. Le sfide che abbiamo
davanti, la velocità del cambiamento tecnologico, la globalizzazione e
un quadro geopolitico sempre più duro, impongono un pensiero lungo e una
strategia articolata. E aggiungo una squadra ampia e un lavoro con quei
corpi intermedi che hanno dimostrato di saper affrontare la sfida del
cambiamento. Forse queste sono le alleanze di cui dovremmo parlare oggi
più che di quelle elettorali, per di più facendolo spesso in termini
astratti e a prescindere dai contenuti».
Anche perché a breve si tornerà a parlare di manovra e chissà quali spazi ci saranno.
«L’entità
della prossima manovra la decideranno il presidente Paolo Gentiloni e
il ministro Pier Carlo Padoan. Del resto le misure che stiamo
predisponendo vanno nella direzione di quanto sopra detto, sia pure
nella dimensione oggi consentita dall’Europa, con cui Padoan è stato
molto bravo a negoziare».
Ma Renzi…
«La fermo subito. La
proposta di Renzi ha il merito di riportare la discussione sui contenuti
in vista del prossimo confronto elettorale. Il senso di smarrimento e
paura dei cittadini deve trovare una risposta razionale e forte, da
parte delle forze non populiste. Altrimenti prevarrà chi propone la fuga
della realtà o ricette autarchiche che distruggerebbero il benessere
accumulato in decenni».
Sembra piuttosto preoccupato di quello che potrebbe accadere nei prossimi mesi…
«Ma
sì. Vedo una generale disattenzione verso il rischio che la prossima
legislatura porti a una caotica fine della Seconda Repubblica sotto la
spinta di un contesto internazionale più complesso, un Occidente diviso e
una situazione italiana che rimane fragile dal punto di vista sociale,
finanziario e politico».
Se è così lucido perché respinge quanti la invitano a scendere in campo?
«Non
credo che un nuovo partito farebbe la differenza. Il mio contributo è
finire bene il mio lavoro: dal secondo capitolo del piano Industria 4.0
alla strategia energetica nazionale fino alle crisi di impresa».
Ma
soprattutto dal centro e dalla destra, c’è il tentativo di trovare
volti nuovi. Berlusconi si è spinto a fare i nomi di Draghi, Marchionne,
Calenda, davvero niente politica per lei?
«Draghi è l’uomo che ha
salvato l’Europa e Marchionne la Fiat. Io faccio da un anno il ministro
dello Sviluppo economico. Non credo di giocare nella stessa categoria.
Devo pedalare ancora parecchio per arrivarci».